Caro Felice Celato,
ho letto con apprensione le tue riflessioni sulla condizione del nostro paese contenute nel tuo articolo ad Amici per la città (VOGLIAMO UN SANTO
Tra provocazione e sfiducia) e, devo dire su sollecitazione del nostro comune amico Amedeo, ti mando alcune reazioni che almeno spero possano accompagnare un passo fatto assieme.
Mi sembra che entrambi abbiamo la consapevolezza che di questi tempi il cammino per molti di ‘noi’ (e poi vediamo chi) e’ fatto di tanti passi, si inerpica per sentieri impervi e i tiri di corda per conquistare la cima si annunciano più numerosi di quanto avevamo preventivato. La fatica avanza, gli occhi si socchiudono e ci sembra che calino le ombre della notte anche al mattino.
E così mi hai fatto ricordare di aver letto tanto tempo fa un bellissimo discorso di Dossetti che nel titolo riprende i bellissimi passi dell’oracolo di Isaia: “sentinella, quanto resta della notte?” Immagino tu conosca sia il passo biblico che il testo di Dossetti, ma la rilettura oggi di quel discorso del 1994 ci aiuta a utilizzare meglio la bussola che abbiamo per indicare la direzione del sentiero.
Vedi, i due aspetti che più ho ripensato del tuo scritto sono stati quelli dove parli di nostalgia e dove evochi un santo: la presenza della prima per periodi nei quali si coltivava di piu’ la speranza e il desiderio del secondo per riscoprire il gusto e la voglia di impegno.
Ecco il passo di Isaia:
“Sentinella, sentinella quanto resta della notte?
Sentinella, sentinella quanto resta della notte?
La sentinella risponde:
Viene il mattino, e poi anche la notte;
Se volete domandare, domandate,
Convertitevi, venite!” (Isaia 21, 11-12)
Molto bello, molto poetico, ma anche di grande indicazione per chi e’ avvolto in quella che un mio caro amico ha definito una sorte di ‘malinconia civica’.
Senti qual’e’ la prima riflessione di Dossetti sulle parole dell’oracolo di Isaia: … ” non c’e’ nessun cenno al giorno precedente: ai suoi pesi, alle sue prove, ai suoi tormenti e alle sue speranze (se ce ne potevano essere). Chi interpella la sentinella, e la sentinella stessa, non si ripiega a considerare – tantomeno rimpiangere – il giorno prima.”
Quindi niente nostalgia, semmai, appunto, piena consapevolezza delle difficoltà, infatti prosegue osservando che: “… Pur non guardando al passato e senza stabilire alcun confronto col tempo prima, e pur guardando in avanti verso il mattino, la sentinella e’ ben consapevole che la notte e’ notte…”
E identifica la notte principalmente nella: “…solitudine, che ciascuno regala a se stesso, perdendo il senso dell’essere al mondo assieme … dove la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole sino alla riduzione al singolo individuo…”.
Parla anche di localismi e di mercificazione dei rapporti umani ammonendoci contro il rischio, anzi la constatazione che: “… stiamo entrando in un’età caratterizzata dal primato del contratto e dall’eclissi del patto di fedeltà e che per tale via si riduce il politico a pura contrattazione economica, per dissolvere il sistema in un coacervo di accordi e convenzioni..”
E a proposito della tua sollecitazione a cercare un nuovo santo o mito, pensa che arriva a titolare un paragrafo contro: “l’illusione dei rimedi facili e delle scorciatoie per uscire dalla notte”. Ci fa osservare con una certa spietatezza ” … che l’oracolo/sentinella non lascia grandi speranze ai suoi interpellanti: ma con voluta ambiguità, annunzia sì il mattino, ma anche subito il ritorno della notte … non vuole alimentare illusioni di immediato cambiamento, e anzi invita a insistere, a ridomandare, a chiedere ancora alla sentinella, senza lasciare intravedere prossimi rimedi …”.
Ora, se all’illusione sembra preferire la triste realtà, in verità ostinatamente sceglie di indicare un metodo puttosto che fornire una soluzione. Tuttavia ci viene incontro, non ci lascia in balia delle avversità del sentiero e ci suggerisce che: “… secondo la sentinella non si tratta tanto di cercare nella notte rimedi esteriori più o meno facili, ma anzitutto di un trasformarsi interiormente, di un dietro front intimo…” E subito aggiunge che per trasformarsi occorre riconoscere che : “… c’è un peccato, una consapevolezza collettiva: non di singoli, sia pure rappresentativi e numerosi, ma di tutta la nostra cristianità (io dico di tutti noi e poi vediamo chi siamo ‘noi’), cioè sia di coloro che erano attivi in politica sia dei non attivi, per risultanza di partecipazione a certi vantaggi e comunque per consenso e solidarietà passiva…”.
Ecco caro Felice perchè la nostalgia non basta, perchè ci siamo stati e continuiamo a esserci sul sentiero nonostante tutto e non possiamo evitare di interrogare noi stessi su ciò che abbiamo fatto, su quello che stiamo facendo e sul perchè ci sentiamo nella notte. Pensa, tu ne parli dopo due anni di governo ‘nostro’ (e ripeto poi vediamo chi siamo ‘noi’), mentre lui lo diceva subito dopo la vittoria delle destre alle politiche del 94.
E senti come Dossetti va ancora più a fondo fino a non resistere alla tentazione di dare qualche indicazione che l’oracolo di Isaia non arriva a fornire. “… Ma per quanto fosse convinto ed esplicitato e realizzato nei fatti, questo pentimento non basterebbe ancora … si dovrebbe dire che (lui si rivolge ai battezzati ma noi possiamo estendere facilmente il metodo a tutti ‘noi’) dovremmo percorrere un cammino inverso a quello degli ultimi vent’anni (scrive nel 1994) cioè mirare non a una presenza, a una consistenza numerica o a un peso politico, ma a una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che potrà poi (e io sottolineo il ‘poi’) esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e politico…’.
Mi sono limitato solo ai passaggi piu’ filosofici, ma per ogni passaggio citato Dossetti sviluppa direttamente riferimenti politici alla situazione di allora, fino alle indicazioni in merito alla resistenza da attivare contro ‘oltrepassamenti’ intollerabili di carattere costituzionale che sarebbe bene riprendere oggi (come per esempio le osservazioni critiche sul federalismo o la necessità di costruire una eticità tributaria).
Vedi Felice, tempo fa pensavo alla storia di mio nonno che si intreccia con la storia del socialismo nel nostro paese: organizzava le prime cooperative di mutuo soccorso agli inizi del 900. L’organizzazione sociale della soluzione a bisogni collettivi, spontaneamente e oggi si direbbe ‘privatamente’ e dopo, solo dopo, fu fra i primi socialisti eletti nel consiglio comunale, oggi si direbbe portatore di interessi collettivi. E penso alle esperienze fatte col volontariato cattolico in Italia e nei paesi che un tempo chiamavamo del ‘terzo mondo’ e alle successive più spiccatamente professionali nel settore pubblico nel tentativo di rispettare il dettato costituzionale che affida al ‘pubblico’ il mandato di ‘creare valore’.
Forse dobbiamo ripartire da qui, pensando che esistono ancora tanti santi che tutti i giorni tengono ardente il tizzone che ci spinge a fare qualcosa che abbia un senso assieme ad altri. Poi dopo si vedrà con quali forze pretendere che qualcuno di loro, solo qualcuno, possa essere ‘sacrificato’ per far sì che la politica conduca la cosa pubblica nel perseguimento dell’interesse generale.
Ecco caro Felice ho utilizzato un grande, tu dirai, proprio un santo, per dirti che non ne abbiamo bisogno; forse abbiamo semplicemente bisogno di riconoscerci, di capire chi siamo ‘noi’, scoprendo quel poco o tanto di santità che c’è in ognuno di ‘noi’, cercandola fra le pieghe dei vari nascondimenti (pascal) dietro i quali chiede di essere svelata.
In amicizia