Amedeo Piva mi ha segnalato un articolo di Fabrizio Torella ( Aids e questioni etiche. Le posizioni della Chiesa dal punto di vista di un laico) invitandomi a ragionarci insieme.
Lo faccio con piacere perché ragionare insieme è una delle cose più piacevoli dell?amicizia, specie quando, come accade a me, si ha la fortuna di avere amici intelligenti e pensosi.

Dico subito che (sia pure con la superficialità del non specialista in materia) sono in buona parte d?accordo su quanto scrive ragionatamente Torella e perciò mi viene difficile?esercitare la mia passione polemica: posso non condividere qualche tono conclusivo, ma si tratta veramente di sfumature delle quali non mette conto di parlare.

Provo allora a spostare il ragionamento su quella che, in questi tempi troppo rumorosi, mi pare emergere come una esigenza per noi cattolici: trovare il metro per ascoltare (e, come vedremo andando avanti col discorso, per enunciare), capire e tentare di fare propri gli insegnamenti della Chiesa, anche quando ci pare di non riuscire proprio a condividerli. Mi pare di aver detto altre volte che, mentre mi sento profondamente e fortunatamente cattolico, per molti aspetti innamorato della Chiesa e tanto spesso anche fiero di farne parte e di essere imbevuto della sua cultura, non sono mai stato (se non nella lontana fanciullezza) un chierichetto timoroso del suo parroco o del suo vescovo; e ben difficilmente riuscirei ad esserlo di nuovo, ora che di anni ne ho compiuti ben sessanta! Ma credo che un paio di doveri in più dei tanti/tantissimi laici, noi, fieri cattolici, li abbiamo quando ascoltiamo insegnamenti dei nostri pastori (e questi ? forse ? quando li esternano). I due doveri, secondo me, sono quelli che danno il titolo a questa riflessione: Intelligenza e Carità.

Cominciamo dall?intelligenza: l?approssimazione (innocente?) con la quale vengono rappresentate le ?posizioni della Chiesa? su una serie di argomenti non comodi non può esserci propria. Sfogliando giornali, ascoltando commenti giornalistici o politici o semplici discorsi della cosiddetta gente comune (termine orribile del giornalismo peggiore!) non ci sfugge certamente la confusione, non solo terminologica, di concetti e asserzioni che continuamente obnubila le posizioni della Chiesa: e allora lo stesso peso viene attribuito all?opinione, riferita con lapidaria semplificazione, del singolo parroco o vescovo ciarliero, alle prese di posizione della CEI o di altra Commissione Episcopale, ai discorsi (un paio di volte, quest?anno, veramente improvvidi!) di singoli Cardinali, ad una conversazione del Papa o ad un suo discorso, all?articolo dell?Osservatore Romano o di Avvenire e così via. Tutto uguale, tutto, quasi sempre, ?scandaloso? per il nostro concetto di modernità (così spesso rozzo, approssimato e irriflessivo), tutto riferito beffardamente ad una infallibilità richiamata del tutto fuori luogo. Se poi la materia ha un risvolto politico (e come potrebbe, tanto spesso, non averne ciò che si rivolge anche al bene comune!) allora la poltiglia ?scandalosa? passa surrettiziamente dall?essere ?posizione della Chiesa? a ?presa di posizione del Vaticano?, tanto per le orecchie ineducate non fa differenza!
Questo frullato mediatico-ideologico va sistematicamente ed attentamente rifiutato quando ascoltiamo (e accortamente disinnescato quando parliamo). E? nostro dovere discernere per capire e soppesare.
Extra Ecclesiam, applicando l?insegnamento evangelico, dopo aver tentato di correggere personalmente o ammonito pubblicamente (se si supera il fragore degli scandalizzati!) non ci resta che abbandonare l?opinione confusa al suo destino, senza più logorarci al confronto.
Intra Ecclesiam, occorre riconoscerlo, una dose di maggior discernimento sarebbe da raccomandarsi anche a chi, dei nostri (lasciatemi dire così!), avventa opinioni o giudizi sulla base di un?autorevolezza indiretta e solo riflessa o a chi, avendone di autentica, potrebbe soppesare i metodi della grossolana ermeneutica mediatica con maggiore prudenza. Uno dei risvolti inevitabili della democrazia (e non abbiamo ancora trovato un sistema migliore per governarci!) è che, essendo basata sulla forza del numero, privilegia molto spesso le opinioni più correnti, le soluzioni più facili, più suggestive, più emozionali, come hanno imparato bene coloro che si sono avventurati in raffinati tentativi di referendum sulle questioni più complesse ed impegnative. La democrazia, poi, accomuna le opinioni sulla base del numero e il numero fa massa e nella massa le compagnie ? lo ricordino bene alcuni dei nostri sollecitatori di consenso politico ? risultano talora malvagie e scempie (come direbbe il Poeta). Come ho ricordato altre volte, le vie della Chiesa non sono quasi mai confortate, nel breve periodo, dai numeri (?.?ma essi si misero a gridare tutti insieme: dacci libero Barabba!?).
Aggiungo un?altra cosa che secondo me rafforza la responsabilità dell?intelligenza del cattolico nel leggere gli insegnamenti della Chiesa: non ricordo chi ha scritto ? cito a senso ? che le critiche alla Chiesa hanno ragion d?essere solo se provengono dall?interno della stessa. Più ci penso e più condivido questa opinione apparentemente curiosa; faccio un esempio banale e (lo riconosco) un po? provocatorio: che senso ha che da parte di chi non crede e non si riconosce nella Chiesa si critichi, per esempio, un Cardinale che rifiuta un funerale religioso in un?occasione clamorosa che pure, forse ? riconosciamolo ? si poteva anche (democraticamente?) evitare? Avrebbe senso se io, che non faccio parte della Massoneria, criticassi le modalità con le quali i Massoni ammettono o non ammettono alle loro cerimonie?

E veniamo al più difficile dei doveri, quello della carità: è, secondo me, per noi doveroso presumere, salvo indiscutibile prova contraria, che ogni posizione espressa, quand?anche con mediatica imprudenza, da un pastore di qualsiasi livello sia espressa nell?esclusivo zelo della tutela di principi per noi irrinunciabili (la dignità della persona, la sacralità della vita, etc) che hanno quasi sempre anche un innegabile valore in termini di bene comune: l?intravvedimento di oscuri, diversi e mondani interessi lasciamolo agli anticlericali di professione, rispetto ai quali ci sia arma ultima il silenzio (??lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla?).
Sulla base di questo assunto, ogni dubbio, ogni critica, ogni dissenso non può che essere intra Ecclesiam espresso con pacatezza e rispetto (con carità, direi sinteticamente): da esperti del mondo non ci mancherà il modo di sottolineare i rischi del parlare al mercato col linguaggio del profeta; non per sacrificare la verità, ma per conferirle il sigillo di un enunciato corto e di un?attesa di vittoria che ha il passo più lungo di chi passa tra i banchi per fare la spesa (di merci o di voti).
Questo è il dovere della carità di noi cattolici verso i nostri pastori; lo ricordino bene però i pastori stessi (o chi ne riporta le voci): il dovere è nostro e non dobbiamo aspettarci che venga praticato da chi si contrappone alla Chiesa e da chi è assolutamente legittimato dalla sua stessa contrapposizione ad essere polemicamente spietato verso le opinioni riferibili (più o meno precisamente) alla Chiesa stessa. Gli insegnamenti della Chiesa sono, extra Ecclesiam, sottoposti alle regole del mondo (d?oggi) ed entrano nel circuito mediatico con le regole di questo (rapidità, sinteticità, sommarietà, approssimazione, stimolazione dell?emotività, etc). Sia la Chiesa, sì, pura come colomba ma anche prudente come serpente.

Roma, 5 aprile 2009, Domenica delle Palme

PS. E? possibile che questo ragionamento faccia pensare ad una percezione della Chiesa come un fortilizio assediato; l?uso dei termini extra Ecclesiam e intra Ecclesiam possono ? me ne rendo conto ? confortare questa percezione. Però, io, in realtà non la penso così; anzi, direi, che una Chiesa arroccata non corrisponderebbe alla sua naturale vocazione apostolica (..?non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio?). Penso solo che la Chiesa di oggi dovrebbe fare i conti con le regole non scritte della comunicazione di oggi e trovare una sua misura di esternazione adeguata a tali regole, ricorrendo più spesso, dopo aver parlato con chiarezza, ad un silenzio incurante del numero dei consensi. La verità non è sottoponibile a verifica democratica.