Ogni volta che passo davanti a una cattedrale immagino
la storia della sua costruzione: quanta passione e quanta
fatica e che ardire in quei capomastri, scalpellini, muratori,
artisti, intarsiatori, marmisti che ci hanno consegnato il
loro capolavoro.
Tutti anonimi e sconosciuti. Hanno speso la vita per costruire
un?opera che durerà nei secoli e che sapevano non
avrebbero visto finita. Altro che archistar contemporanei e
sponsor con il marchio in bella vista! Le cattedrali, di cui il
nostro Paese è così fortunatamente disseminato, sono l?emblema
di un lavoro collettivo ciclopico e avveniristico, nel
quale ognuno poteva essere chiamato a dare un determinato,
quanto oscuro, contributo.
Nino Andreatta, per spronarci a lavorare sodo e insieme,
citava la fatica ingrata degli scalpellini medioevali che
mettevano la stessa dedizione nella loro decorazione, si
trattasse della facciata o dell?interstizio più nascosto, quello
nell?angolo là dietro che «solo i piccioni erano in grado
di apprezzare».
Alla costruzione delle cattedrali ? simboli non solo religiosi
della comunità, destinati a essere ammirati e utilizzati
da quelli che sarebbero venuti dopo nei secoli ? contribuivano
sì gli artigiani, che ci hanno lasciato il loro lavoro
e la loro fatica sotto le navate, ma anche tutti gli altri abitanti,
che spesso vivevano in catapecchie, ma che sapevano
sognare in grande.
I registri delle offerte della Fabbrica del Duomo di Milano,
consultati dalla ricercatrice Martina Saltamacchia della
Rutgers University nel New Jersey, rivelano che furono
proprio i piccoli contributi dei cittadini e dei contadini,
e non le grandi e opulente offerte di duchi, comandanti e
mercanti, a costituire la maggior parte delle offerte della
Fabbrica milanese.
Nell?anno 1400 il principe Gian Galeazzo Visconti ? il
committente del Duomo, la cui facciata fu completata soltanto
qualche secolo più tardi da Napoleone Bonaparte
che vi si incoronò re d?Italia ? versò 800 lire al mese, poco
più del 15% della somma raccolta quell?anno. Cinque volte
tanto furono, nel loro insieme, le donazioni infinitesimali,
di una o poche lire.
Furono, dunque, uomini e donne che ben sapevano che
i loro occhi non avrebbero mai potuto contemplare il Duomo
a volerlo fortemente. E la missione di quest?opera collettiva
era condivisa da tutti. Sempre i registri del Duomo
riportano offerte di strozzini, briganti, prostitute. Segno che
la passione o l?ossessione del futuro (oltre, certo, alla speranza
individuale di indulgenza) guidavano i comportamenti
di una società che ? tra le tante pene di vivere poco
e male ? ci ha regalato tesori che rendono più bella e più
ricca la nostra vita attuale.
Un impegno autenticamente collettivo, quindi. La soddisfazione
di partecipare a un progetto per il quale il contributo
dell?ultimo dei cittadini era importante tanto quanto
quello di tutti gli altri. Qualcosa con cui dare un significato
al lavoro, e forse anche alla propria vita. «Due operai»
raccontava Pietro Nenni in Parlamento nel 1959 «lungo
una strada stanno ammucchiando mattoni. Passa un viandante
che s?informa sulla natura del loro lavoro; uno modestamente
risponde: sto ammucchiando mattoni; l?altro
risponde: innalzo una cattedrale!» . La differenza è nella
motivazione e nella prospettiva. Il primo impila pietre: per
sé e per guadagnarsi da vivere oggi. Il secondo fa esattamente
lo stesso, ma sa di costruire qualcosa di grande per
il futuro. E questo conferisce un valore completamente diverso
alla sua fatica. La cattedrale è poi contaminazione e
mescolanza: la sintesi, tutta nuova, di storie e di esperienze
che attraversano i secoli. Un esempio tra i tanti: il Duomo
di Monreale, in Sicilia. Il suo splendore nasce dall?incontro
di civiltà e culture diverse: quella latino-germanica,
quella bizantina, quella arabo islamica. Generazioni e generazioni
di individui che hanno partecipato, insieme, alla
creazione di un capolavoro che oggi riempie di meraviglia
chi ha la fortuna di visitarlo.
Se penso alla mia città, Pisa, non posso non notare che
gran parte del Pil che lì viene generato è dovuto a due realizzazioni
di un millennio fa: piazza dei Miracoli e l?Università.
Opere cariche di ansia e futuro. Oggi sarebbe possibile
riscontrare la stessa ansia nei nostri comportamenti?
Si potrebbe trovare un architetto anonimo per progettare
uno stadio? E ci sarebbero contribuenti volontari, pronti a
versare gratuitamente il loro piccolo obolo? Del resto, sarebbe
immaginabile dare un senso alla nostra esistenza sulla
base non del consumo e del godimento del presente, bensì
della costruzione del futuro, anche a costo di non vederne
nemmeno una parziale realizzazione?
Quell?ansia è svanita.
?Costruire una cattedrale?
Brano tratto dal Capitolo I