Mi dispiace di non aver convinto Felice Celato (di cui apprezzo i contributi) e provo a rispondere (non per polemizzare, ma per precisare meglio il mio pensiero).
Il problema che pone F. C. (cfr il commento ?Il voto per greggi è partitocrazia? al mio articolo ?Partito-mosaico o partito-scultura??) innanzi tutto non è sulla forma-partito ma sul ruolo dei rappresentanti parlamentari del partito, che è solo una parte delle questioni affrontate nel mio articolo. Partiamo dunque da alcuni punti fermi non modificabili: la nostra Costituzione.
Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Art. 67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Art. 68. I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
E? chiaro dunque che nessuno tende o vuole minare la libertà di espressione di nessuno. Il problema è di rendere le diversità un?opportunità, di come fare affinché concorrano alla produzione di una linea politica unitaria, cioè di creare quell?identità, o per usare una parola che piaceva tanto a Enrico Berlinguer, quella peculiarità, che distingue un partito dagli altri. Senza che ciò comporti inazione, frammentazione, paralisi, crisi politica.
Il voto è un punto di arrivo, ma partiamo dal punto di partenza.
Prima del voto parlamentare vero e proprio esiste un iter complesso dove ogni passaggio ha luoghi specifici di dibattito aperto e democratico ( dalla produzione/elaborazione di un programma politico ? assemblee, congressi, primarie – all?elaborazione di un programma di governo e quindi alla mediazione con altre istanze esterne al partito, fino alla definizione di provvedimenti legislativi specifici nelle competenti sedi istituzionali -o anche fuori, come prevede la Costituzione – ). Vi sono quindi infinite opportunità per cercare di determinare con la forza delle proprie idee, espresse liberamente e pubblicamente, quelle proposte, che, se poi votate, diverranno leggi per tutta la collettività.
Occorre altresì rendersi conto che la nostra è una democrazia rappresentativa fondata sui partiti (chiamiamola pure partitocrazia , non mi sembra un termine dispregiativo) e non assembleare fondata sui singoli 28 milioni di elettori, che hanno ognuno una propria visione del mondo, una propria etica, fino a una propria proposta di formazione per la nazionale di calcio con annesso allenatore.
Quindi, non solo ci sono un?infinità di luoghi deputati per confrontare il proprio credo con quello altrui, ma ci sono altrettanti infiniti luoghi deputati dove si può, se lo si crede, articolare ed esprimere il proprio dissenso costruttivo . Nella forma-partito cui aspiro, basata sulla fluidità di persone e idee (quindi opposto al modello berlusconiano) la propria specifica individualità deve diventare arricchimento e valore aggiunto (il concetto di fluidità è un concetto caro al Censis di De Rita, contrapposto all? attuale società ingessata e densa ). Quindi le idee dell? On. Binetti, per arrivare al caso specifico, hanno tutto il diritto di essere rappresentate, ma anche di non essere ? del tutto o in parte – condivise. Di non essere in tutto o in parte inserite nel programma del partito come in provvedimenti legislativi, che a loro volta, sono frutto di altre mediazioni culturali complesse con altre forze politiche, che a loro volta ancora hanno mediato al loro interno e così via.
Esiste poi il momento successivo alla stesura del provvedimento legislativo, quando i giochi ormai sono chiusi, le mediazioni esaurite. E questa è la fase del voto. E? il punto centrale dell?obiezione di Felice Celato. Il voto non è l?unica forma possibile di assenso o dissenso. Quale cassa di risonanza migliore, più limpida e trasparente esiste di un Parlamento per documentare il proprio disaccordo, totale o parziale? Che il deputato che non ha visto del tutto o in parte accolti nella fase della formulazione legislativa le proprie istanze o che comunque nel provvedimento non si riconosce, si alzi, prenda la parola e spieghi le sue obiezioni all?uditorio che rappresenta tutti gli italiani. Quello stesso deputato poi non potrà che prendere atto della volontà del partito e votare come gli chiede il suo segretario, cioè nell?interesse di quegli elettori che il partito rappresenta e che hanno votato su un preciso programma di governo o su una precisa offerta politica. O uscire dall?aula per rimarcare la diversità.
Dice Felice Celato ?Il dissenso su una singola cosa con successivo voto per greggi aggregate non andrebbe bene per me? . Proviamo ad applicare questa obiezione a problemi come il nucleare, i diritti civili, le missioni militari all?estero, la scuola, la procreazione assistita, le staminali, l?ora di religione, il biotestamento, la sicurezza, l? immigrazione e via dicendo. Penso che tra i 945 rappresentanti eletti tra tutti i partiti ognuno ha più o meno una sua idea solo in parte coincidente con quella altrui, anche dello stesso partito. Che facciamo allora applichiamo il principio di ?ognun per sé? o delle maggioranze variabili? Il caos parlamentare sarebbe assicurato.
Ma questo di cui stiamo parlando è solo un problema nostro, del tutto connesso alla nostra cultura di un centrosinistra che ha il culto dell?individualità, della frammentazione, del distinguo a tutti i costi, votato a ?complicare la complicazione? già ripreso in miei precedenti interventi (per tutti ?Quale Europa? Quale PD??).
Il problema del voto ?libero? poi non può non è essere contestualizzato e rapportarsi al momento politico presente. E diventa tanto più grave quanto più irrisoria è la quota di maggioranza relativa. In un Paese come il nostro dove la soglia di maggioranza si è giocata sul numero di una mano di senatori e di fronte hai uno schieramento unito (lasciamo perdere i motivi) il voto libero può spesso essere ( e lo è stato) fatale per la caduta dei governi (sempre e solo di centrosinistra si intende). Sta all?intelligenza politica degli eletti scegliere tra la propria coerenza o la crisi politica. O meglio: tra la propria coerenza e la stupidità politica. Ricordiamoci della storia recente: il primo governo Prodi cadde per 1 voto per la ?coerenza? di Rifondazione, il successivo Governo Prodi sarebbe ancora in carica ( e Berlusconi ancora felicemente sposato) se di volta in volta non fosse stato minato alle fondamenta dai voti ?coerenti? di Rossi e Turigliatto sulla politica estera, Dini e amici su quella economica, e via dicendo per i PACS, Mastella per la giustizia. Tutti liberi pensatori ?ognun per sé?, per non parlare poi degli opportunisti alla Di Gregorio, ma qui la coerenza politica non c?entra.
C?è poi un ultimo aspetto. Se un partito si presenta all?elettorato con un programma e su questo viene votato, la successiva applicazione del patto con l?elettore non può essere lasciata all?individualità del singolo. Quel singolo deputato che successivamente chiede mano libera dovrebbe preventivamente dichiarare al proprio partito ? visto che è il partito che lo mette in lista con questo aberrante sistema elettorale ? che poi su specifici temi seguirà la propria coscienza. Chiarezza subito dunque fin dalla composizione delle liste. Se comunque il partito lo inserirà nelle liste saprà cosa attendersi, se l?elettore poi comunque lo voterà saprà cosa attendersi. Ma i giochi non si cambiano in corso d?opera : esiste una coerenza personale, ma anche una superiore coerenza di appartenenza ad un partito e ad uno schieramento, che, io, elettore e cittadino, pretendo.
Per la cronaca l? On. Binetti poco fa ha dichiarato che voterà la proposta del PDL sul testamento biologico.