?Non voglio essere laico?, scriveva Felice Celato il 21 luglio scorso sul sito di Amici per la Città. Avendo qualche momento di respiro, durante le vacanze estive, l?ho letto con attenzione e mi sono appuntato alcune considerazioni che ho mantenuto nel cassetto.
Li ho riletti in questi giorni e mi sento quasi in dovere, dettato dal mio amore per la discussione ed il confronto, di segnalare alcuni passaggi, a livello puramente dialettico, che non mi hanno convinto fino in fondo.
Innanzitutto non mi è molto chiaro perché il pensiero laico (ma di quale accezione stiamo parlando? Torella docet) debba essere nato quando la Chiesa ?insegnò? ad opporsi all’impero romano ed alle sue successive evoluzioni e non vedo come abbia fatto la Chiesa delle origini a compiere questo miracolo culturale; a me sembra molto più semplicemente che il concetto di ?laico? sia nato in contrapposizione a quello ecclesiastico, se ho ben interpretato il riferimento storico di Felice.
Fra le altre mie letture estive, un interessantissimo (per me) saggio sugli scritti e sulla storia delle primissime comunità cristiane. Sembra che non si possa proprio parlare di ?libertà di pensiero dell’uomo?, se si analizzano le polemiche, le diatribe e le menzogne esplose non soltanto fra cristiani: Paolo contro Pietro, marcioniti contro ebioniti, proto-ortodossi contro gli altri ?eretici? (e viceversa ovviamente), ma soprattutto contro tutti gli altri pagani che non la pensavano come loro. E tutti si definivano a ragione Cristiani e seguaci di Gesù Cristo.
E mi sembra un po’ riduttivo giustificare il tutto con: ?la Chiesa […] è fatta di uomini?. Lasciamelo dire, caro Felice: un po’ troppo comodo, perché lo stesso ragionamento si potrebbe applicare a ben altre stragi umane. Ma sto divagando.
Non riesco a trovare riferimenti recenti all’affermazione: ?[…] non volere che la politica sia influenzata da una concezione dell’uomo?, che mi trova ovviamente in disaccordo. Chi l’ha detta questa frase, in quale contesto? Ci deve essere certamente un’ideale legato allo sviluppo interiore dell’Uomo che guidi gli atti politici, come giustamente afferma Felice.
Ma già l’asserzione che la concezione dell’uomo cristiana è ?la più alta che sia mai stata concepita da pensiero umano?, mi trova poco concorde. Si tratta di un punto di vista personale, per cui meritorio di essere espresso, o di una constatazione assoluta? Poiché, bollare concezioni dell’uomo come quelle confuciane o buddiste come inferiori semplicemente per partito preso, mi sembra quanto meno discutibile. L’affermazione è forte e meriterebbe a mio avviso delle prove a supporto. Personalmente nutro dei dubbi che la concezione dell’uomo cristiana sia la migliore in assoluto, in tutta la storia dell’Uomo: da un lato perché questa concezione non ha fatto solo del bene, anzi, dall’altro perché altre concezioni nella storia di questo pianeta si sono rivelate di successo per diversi millenni, ed hanno forse causato meno pericoli al prossimo di quanto abbia fatto la Chiesa.
Ancora, è vero che i laici non devono imporre a chi si rifà agli ideali cristiani di rinunciare alla loro visione morale e di applicarla alla politica, ma la cosa deve essere reciproca. Se io, politico laico, mi appello a valori diversi, che cercano di non contemplare valenze religiose pur essendone in contatto (rispetto per il prossimo, moralità nell’uso degli strumenti politici, ecc.), non mi posso sentir dire che, in quanto laico, sono ?immune da qualsiasi concezione dell’uomo? e quindi non posso esprimere delle regole sociali perché non ho ?idee, origine e limite? da persone che si definiscono cristiane (qualsiasi cosa questo termini oggi significhi) ma che pretendono però, per il loro punto di vista, accettazione e riconoscimento.
Inoltre, mi sembra il caso di distinguere: fino a quando la concezione dell’uomo, laica o cristiano-cattolica che sia, viene attuata dal singolo, nel suo personale modo di fare politica, personalmente non ci vedo nulla di male, anzi, è uno stimolo al confronto. Ma quando una certa concezione viene usata come sovrastruttura etica di un sistema politico ad alto livello, incaricato di definire le linee guida anche morali di uno stato, le cose cambiano. E cambiano perché, nella fattispecie, lo stato italiano è laico (vedi la Costituzione ma soprattutto la recente giurisprudenza) e quindi mi aspetterei che la concezione dell’Uomo e quindi di uno Stato alla base dell’etica politica e del governo, sia essenzialmente laica. Una visione della politica basata sulla concezione dell’Uomo cristiana applicata ad uno stato che si definisce laico, mi sembra una contraddizione, che può, oltre certi limiti, portare per esempio all’assurdo concetto d’oltre oceano che l’evoluzionismo non va insegnato a scuola a meno di parlare anche di creazionismo. E forse la mancanza di una concezione dell’Uomo laica, lamentata da Felice Celato, può avere un’origine proprio in questa dicotomia. Che è ben diverso dal sostenere che la politica, in quanto laica, è necessariamente priva di una qualsiasi concezione dell’uomo.
In ultimo, l’immagine di una politica con più radici che sappiano coesistere senza soffocarsi è indubbiamente interessante, ma, memore delle mie altre letture estive, non trova troppo sostegno nella storia millenaria della Chiesa, che molto ha fatto, tranne che concretizzare una vita di rispetto reciproco, per esempio con la continua denigrazione della donna nella società e all’interno della ecclesia stessa. I vari S. Francesco d’Assisi e madre Teresa di Calcutta, per non parlare dei missionari e del clero anonimo variamente impegnato con serietà nel mondo, sono purtroppo eccezioni, validissime, ma non la regola.
Concludo, chiedendo a Felice ed ai lettori tutti: ho mal interpretato io il suo pensiero, non leggendolo abbastanza attentamente, oppure qualche dubbio sono riuscito ad esprimerlo in modo sufficientemente chiaro?
Il laico è immune da qualsiasi concetto dell'uomo?