Le pensioni tornano di attualità anche alla luce delle decisioni prese dal Governo a proposito di età pensionabile delle donne del pubblico impiego come conseguenza della sentenza europea.
Si torna a sentirne di tutti i colori.
La contrapposizione tra giovani ed anziani con critica al sistema a ripartizione. Ma c?è davvero così tanto di criticabile nel fatto che chi è in età da lavoro e in buona salute fornisca i mezzi per vivere a chi non è più in queste condizioni? A loro chi li ha forniti questi mezzi nei primi anni di vita quando non erano in condizioni di lavorare e studiavano preparandosi alla condizione di lavoro? E? sempre stato così perfino nella società schiavistica. Gli schiavi anziani erano mantenuti da quelli giovani. La differenza era che campavano poco. Il sistema a capitalizzazione può essere una buona regola se attiene al risparmio per la pensione complementare e se convive con la solidarietà e la ripartizione del sistema generale.
Anche in nome di questa contrapposizione si seguitano a sparare giudizi perlomeno superficiali sulla riforma Dini del 1995 ed a teorizzare che i giovani di adesso non avranno una pensione. I conti fatti dal Sindacato pensionati della Cgil (vedi Rassegna sindacale n. 20 del 2006) dicono che ?intorno ai 62 anni di età il sistema contributivo garantisce una sostanziale parità di trattamento con il retributivo, mentre in età superiori può rendere addirittura di più?. Sono le stesse valutazioni che fa il CER nel recente modello di previsione elaborato per il Cnel salvo lo slittamento di un anno. E il risultato può perfino essere migliore se si va in pensione a 65 anni. Diverso il ragionamento per i lavoratori autonomi che avranno un abbattimento sostanziale del loro tasso di sostituzione, ma per la ragione che pagano meno contributi (venti e rotti per cento invece che 33%).
Certo vanno paragonate carriere equivalenti. Se si confronta chi ha lavorato continuativamente ed in regola con chi abbia fatto lunghi periodi di precarietà o di lavoro nero cambia tutto. Ma del resto non è mai accaduto che avessero pensioni ricche stagionali, braccianti, edili, colf e similari.
I guai stanno in un mercato del lavoro che si è imbastardito. Di questo non si può fare colpa al sistema pensionistico anche se bisogna ragionare su come porvi rimedio anche nel sistema pensionistico stesso, come vedremo più avanti.
Le cose adesso come stanno a proposito dei livelli delle pensioni? Con esclusioni delle gestioni minori (minatori, clero, dazieri, ?casalinghe?), all?1 gennaio 2009 risultano 6.300.000 pensioni di importo inferiore a 500 euro, di cui 2.800.000 inferiori al minimo e poco più di tre milioni integrate al minimo (euro 457,76 mensili). 4.650.000 pensioni, inoltre risultano comprese tra 500 e 1.000 euro e circa 3.900.000 superiori a mille euro. L?Inps non fornisce dati aggiornati sul trattamento complessivo delle persone che godono più di una pensione (due, tre e anche di più).
Con tale criterio questa era la situazione al 31 dicembre 2005: avevamo oltre quattro milioni di persone che non arrivavano a 500 euro e altri tre milioni e mezzo tra 500 e 800. Ulteriori due milioni tra 800 e mille. Due milioni di soggetti stavano sulla media di 200 euro al mese. I cambiamenti intervenuti sono quelli conseguenti alla rivalutazione annua e quindi modesti.
I trattamenti migliori riguardano le solite categorie soprattutto provenienti dai Fondi speciali: trasporti 19.400, telefonici 24.400, elettrici 23.400, volo 41.700, esattoriali 21.400, gasisti 20.200, ferrovieri 19.300, ex Inpdai 47.100, Inpdap 19.800. Si tratta degli importi annui relativi al 2009 salvo quello Inpdap che è del 2008. Resta evidente come i guai dell?Inps derivino soprattutto dai fondi speciali confluiti mantenendo le condizioni di vantaggio preesistenti pagate a spese di Cipputi. Il quale Cipputi resta ad una media di neppure 10.400 euro l?anno di pensione.
Nel corso dell?ultimo mezzo secolo i lavoratori dell?industria hanno fatto solidarietà a tutti. Ma mentre ha avuto un senso la solidarietà fatta a braccianti, contadini, mezzadri e perfino artigiani è stata uno scandalo la solidarietà a quelli dei fondi speciali. Da ultimi sono arrivati i dirigenti dell?industria. Avevano rivendicato l?autonomia della loro cassa (Inpdai) pensando di poter mantenere i loro trattamenti privilegiati (2,5% di rendimento all?anno invece che il 2% che hanno tutti gli altri); quando hanno visto i conti in rosso è subentrato un amore sconfinato per l?Inps che prima criticavano aspramente e hanno chiesto e ottenuto di entrarci. Peraltro una volta trasferita all?Inps la gestione previdenziale dell?ex Inpdai subito hanno chiesto l?applicazione delle regole di miglior favore come l?abolizione del tetto pensionistico, per non subire discriminazioni con gli altri assicurati Inps, con gli ovvi effetti ? a questo punto ? sui conti della previdenza pubblica.
Ben vero che anche i lavoratori dell?industria hanno goduto delle pensioni di anzianità con i 35 anni di lavoro, ma è paragonabile da questo punto di vista la condizione dei pubblici dipendenti?
E? ragionevole che si metta mano ad alcuni problemi lasciati irrisolti dalla riforma Dini la quale, a regime, ha abolito qualsiasi forma di solidarietà salvo la sopravvivenza dell?assegno sociale (dal gennaio 2009 pari a Euro 409,05).
Nella previdenza complementare avremo il fenomeno di pensioni più basse per le donne, a parità di carriera lavorativa con i maschi, in ragione della loro più lunga attesa di vita.
Si ripropone la questione del trattamento minimo. La riforma del 1995 lo aveva eliminato, anzi aveva rovesciato il concetto. Non più se la tua pensione a calcolo è bassa ti erogo una prestazione assistenziale fino a raggiungere il minimo; bensì non ti do la pensione se il tuo calcolo non raggiunge una cifra pari almeno a 1,2 volte l?importo dell?assegno sociale.
In alcuni volonterosi già nel 1995 avevamo sollevato il problema suggerendo perlomeno di abbassare l?asticella a 0,8. Adesso è evidente che va riaffrontata la questione. Circolano diverse idee: dare vita ad un piede fisso di 350-400 euro mensili (cifra prossima all?importo attuale dell?assegno sociale) pagate con il fisco da sommare alla pensione contributiva, ma ovviamente ridotta rispetto allo standard attuale; garantire un minimo fisso ogni anno di contributi versati. Si potrebbe dire: per ogni anno di contributi versati non puoi avere meno di 30 euro mensili di pensione.
Un criterio analogo potrebbe essere adottato per le operazione di rivalutazione delle pensioni in essere che risolverebbe il problema di non trattare allo stesso modo chi , pur avendo pensioni ugualmente basse, abbia lavorato oppure no.
Un tale impianto con una pensione base uguale per tutti potrebbe consentire un abbassamento dei contributi pensionistici obbligatori intorno al 24% fissando a questo standard il livello per tutte le categorie e così realizzando una semplificazione che aiuterebbe anche la lotta all?evasione.
Dove prendere i soldi per finanziare la pensione di base? Una parte prevalente (taluni sostengono sufficiente) può arrivare dalla ridestinazione delle attuali misure assistenziali a cominciare dalle integrazioni al minimo e dai varii sconti e trasferimenti che si fanno a categorie di imprese o tipologie di rapporti di lavoro.
Un?altra parte (udite, udite) dalla lotta alla evasione fiscale e contributiva e lotta al lavoro nero che andrebbero semplicemente prese sul serio e considerate una malattia quale sono invece che considerarle una medicina.
Al tempo stesso bisogna tornare alla flessibilità per il regime contributivo. Se si adeguano i coefficienti come previsto dalla legge o giù di li si può tornare a 57 anni e magari allungare il range della scala fino a 70 (o rimodularlo tra 60 e 70 anni). Se stiamo in regime contributivo non disturba nessuno il fatto che una persona prenda la pensione a 57 anni perchè, appunto (se i coefficienti di trasformazione sono onesti), prende il maturato con i suoi contributi e in ragione della sua attesa di vita, non come adesso che pesca solidarietà dagli altri compresi i silenti che una pensione non l?avranno mai. E non disturba che continui a lavorare a part time o a tempo pieno. Verserà altri contributi che gli serviranno a rimpinguare la pensione quando si ritirerà del tutto. Si consideri che, con il mercato del lavoro che ci ritroviamo, saranno sempre di meno le persone per le quali gli anni migliori della vita lavorativa potranno essere gli ultimi. L?occasione della sentenza europea sull?età pensionabile delle donne del pubblico impiego poteva suggerire di riprendere questo discorso.
Occasione sprecata.
Con tale regime è giusto ripristinare il diritto di opzione al contributivo per quelli del regime retributivo che avevano 18 anni di contributi nel 1995. Questo diritto era previsto dalla legge 335, ma poi si è scoperto che una platea ristretta di soggetti con redditi alti ci avrebbe guadagnato (avere redditi alti è sempre meglio). Si è abolita la possibilità per tutti. E? stata una ingiustizia. Bastava porre il limite secondo il quale il calcolo contributivo non poteva comunque superare quello retributivo.
Una tale misura risolverebbe il problema di persone che si trovano disoccupate a 57-60 anni magari con 25-30-35 anni di contributi versati e che sono obbligate ad aspettare i 65 se uomini o 60 (per adesso) se donne. Certo avrebbero una pensione bassa, ma sarebbe una possibilità, una opzione nelle loro mani senza oneri per la collettività. Questo potrebbe essere in combinazione con una riformata indennità di disoccupazione alla quale va abbinato una adeguamento del regime dei contributi figurativi.
Non è proprio il caso di rimettere più mano alle pensioni di anzianità dopo gli aggiustamenti portati dall?accordo del 2007. Ma non è vero che ci siano schiere di 58enni smaniosi di andare in pensione prima del tempo. Io penso che ciò non sia vero se non per chi fa un lavoro sgradevole, gravoso, appunto usurante; ma non immagino schiere di 57enni desiderosi di passare il loro tempo ai giardinetti. La verità è che il diritto alla pensione di anzianità è una polizza assicurativa contro il pericolo di rimanere senza lavoro prima di avere maturato il diritto alla pensione.
Oppure è considerato una buona opportunità per chi progetta di svolgere comunque un lavoro magari in nero.
Il vero problema da affrontare è la mobilità verso un nuovo lavoro per chi rimane disoccupato soprattutto se untracinquantenne. Nell?attuale fase di crisi la cosa è ancora più grave e difficile. E? singolare che tale questione sia stata fuori dai negoziati interconfederali quando le cose andavano bene e che adesso la si affronti soltanto per il risvolto degli ammortizzatori sociali per di più solo con aggiustamenti ad un sistema che mantiene ingiustizie e sperequazioni insopportabili.
Bisogna pervenire ad una norma che preveda la totalizzazione gratuita dei contributi versati in qualsiasi istituto o cassa. Oggi siamo al punto che all?interno dello stesso Inps non si possono mettere insieme i contributi versati come dipendente e come CoCoCo se non avendo raggiunto in ognuno dei fondi almeno tre anni di contribuzione, e già questa è stata una conquista raggiunta faticosamente nel 2007 che prima le cose erano molto peggio. Il dibattito in corso ammette che a questo soggetto gli diamo la contribuzione figurativa, ma non che possa sommare in unico conto i soldi che ha versato. E? una norma che deve valere per tutte le casse. Se uno tenta la carriera di libero professionista, non ha successo e quindi trova poi un lavoro dipendente, perché deve aver regalato i contributi alla cassa pensioni della professione? Per pagare la pensione ricca di quelli che hanno sfondato?
E? lo stesso tipo di infamia con il quale trattiamo gli immigrati. Prima della Bossi-Fini, quando tornavano al paesello, potevano rivolgersi all?Inps e ritirare quanto versato. La Bossi-Fini ha abolito questa possibilità promettendo una improbabile pensione a 65 anni per popolazioni che mediamente non arrivano a 60.
I titoli su cui ragionare possono essere tanti. Mi limito a delle citazioni.
Pensioni di invalidità. A certe condizioni si rischiano situazioni di miseria nera per chi resta invalido o per i superstiti se il titolare muore. Bisogna rimetterci mano.
Previdenza complementare. Non c?è una corsa dei lavoratori ad entrare. Ci sono troppi fondi inconsistenti come numero di adesioni. Si può tornare a ragionare su alcune problematiche?
Casse dei professionisti. Già per alcune ci sono problemi di bilanci in rosso. Se si procede alla totalizzazione come suggerito prima non so quante ne resterebbero in piedi. Ma non si può perlomeno farne una sola? O busseranno una per volta all?Inps?
Lavori usuranti. Va attuata la norma concordata. Ma perché le aziende usuratrici non devono pagare nulla essendo la spesa a totale carico della solidarietà generale?
Unificazione degli Enti. Ma davvero è un?idea cretina? Intanto ha avuto il merito di imporre il tema della collaborazione e sinergia tra gli enti esistenti. Che non è poco se gli stessi protagonisti sostengono che il risparmio può essere equivalente. Vedremo a consuntivo.
Non autosufficienza. In Italia tre milioni di persone sono in condizioni di non autosufficienza. Si tratta soprattutto di anziani, ma non solo. Quando in una famiglia si presenta questo problema sono guai grossi. In Germania si è dato vita ad una forma di assicurazione obbligatoria che è di fatto una tassa di scopo. In Italia dopo la Legge 328 siamo tornati al silenzio.
Dalla Sicilia giunge notizia della intenzione di una nuova infornata di pensionamenti anticipati per 7.000 (settemila) dipendenti della regione con il solito argomento che non servirebbero a niente, ma pronti probabilmente a rimpiazzarli come avvenuto in tutte le occasioni precedenti. I trattamenti previsti per queste persone sono descritti dal capo di un sindacato degli interessati (Sadirs): ?Ho 53 anni e 28 di anzianità. La mia pensione sarà uguale o leggermente superiore all?ultimo stipendio?. Mi sembrerebbe giustificato un intervento dello Stato centrale che azzerasse l?autonomia della Sicilia su queste materie.
Si potrebbe continuare.
Aldo Amoretti Consigliere Cnel