Entrando in qualsiasi chiesa in Italia, si incontra sempre (o quasi sempre) in un angolo vicino all’entrata una bacheca con le notizie e le foto di qualche scuola, chiesa, ospedale, impianto irriguo che i fedeli di quella parrocchia si sono assunti di costruire in qualche paese del terzo mondo.
La cosa che contraddistingue questi interventi rispetto ad ogni altra iniziativa pubblica è che quasi sempre a questo aspetto economico si affianca una conoscenza delle esigenze locali e delle persone che è un po? più del semplice inviare qualche soldo.
Ad esempio la mia amica Bice da oltre una decina di anni ha fatto “adottare” dai fedeli di Fiumicino un centinaio di ragazze che sono accolte, fatte studiare, insegnato loro un lavoro e talvolta anche aiutate e farsi una dote per sposarsi in una comunità di suore in Madagascar.
Si crea in questi casi un rapporto tra la ragazza e la famiglia che la sostiene in Italia molto forte, al punto che molte madrine avrebbero desiderio di ospitare per il periodo estivo alcune delle ragazze pagando loro anche il viaggio. Sono le stesse suore del villaggio che scoraggiano tale azione per tema degli effetti negativi che ne potrebbe avere la ragazza al momento del ritorno in una condizione “diversa” da quella che hanno sperimentato.
Forse le suore sbaglieranno, ma la loro consolidata esperienza non va sottovalutata ne banalizzata, non a caso loro sono andate là e non viceversa!
Mi viene poi in mente come le numerose “badanti” che alloggiano in casa di italiani siano spesso (almeno quelle di cui ho diretta conoscenza) circondate da un affetto che supera il semplice rapporto di lavoro, consentendo rimesse (ucraina, Romania,..) fatte non solo di soldi ,ma di oggetti donati che sono molto apprezzati e che costituiscono un legame affettivo con la famiglia di origine della badante; spesso la famiglia quando cessa la “necessità” della presenza si fa carico di collocare la persona presso altri e continua a mantenere un legame di affetto.
Ebbene tutta questa quantità di danaro non rientra nei conti “ufficiali” a cui si riferisce Bill, e sono sicuro che l’importo complessivo è tutt’altro che trascurabile, ma ancor di più esso è puntuale ed efficace al 100% per cui vale molto, ma molto di più di qualsiasi cifra ufficiale che possa essere stanziata; come si vede dai risultati dei conti dell’Unicef: in gran parte la cifra messa a disposizione resta “in casa” come stipendio e funzionalità degli organismi eroganti.
Pertanto ritengo che non dobbiamo affatto vergognarci di ciò che facciamo meno che mai sottovalutarlo!
ho spesso contatti con amici che ancora “lavorano” nella ex Yugoslavia o che hanno “lavorato” in Albania, e ne ottengo racconti di fatti molto edificanti.
Mi trovavo a lavorare in trasferta a Brindisi quando sono sbarcati in pochi giorni 20.000 profughi albanesi, ricordo anche le zattere utilizzate per attraversare l’adriatico fatte con bidoni vuoti legati insieme, accatastate lungo il molo del porto, da questa gente che non aveva speranza nel proprio paese; ritornando in cantiere il lunedì mattina da Roma mi sono commosso nel vedere che TUTTI questi albanesi che avevano occupato di fatto la città, tra sabato e domenica erano stati accolti, lavati e rivestiti dai brindisini che avevano tirato fuori scarpe camicie e quei vestiti vecchi ma ancora in buono stato dai cassettoni e dall’armadio. Era uno spettacolo che nessuno dei centinaia di giornalisti e cineoperatori che all’epoca stavano lì a riferire, ha saputo cogliere e valorizzare!
Basta paragonare l’attuale situazione dell’Albania a quei ricordi vivissimi dei primi sbarchi per provare come italiano un grande senso di orgoglio per quanto, zitti zitti e talvolta autoflagellandoci, abbiamo fatto in soccorso VERO di costoro in così pochi anni; per cui quella economia sta pian piano “tirando” (anche turisticamente come avvenuto quest’anno in modo importante) e non si pone più il problema dell’invasione che per qualche anno ci ha fatto preoccupare; mi piacerebbe vedere cosa possono vantare in alternativa altre nazioni molto più dotate economicamente di noi che spediscono 10.000 militari ad Haiti e non sanno neppure distribuire dopo 15 giorni dal disastro gli alimenti accatastati alla rinfusa.
Non scrivo questo per gloriarci più del giusto, ma almeno il giusto riconosciamocelo!
Nel mio quartiere (via Formia, via Cori) in cui Lei venne ad inaugurare da assessore un centro di accoglienza per i giovanissimi immigrati latino americani per insegnare loro l’uso dell’italiano e favorirne la integrazione scolastica, ci sono rappresentati di quasi tutte le etnie, poiché la loro presenza non eccede un opportuno rapporto stranieri/italiani non si è mai posto un problema di convivenza, anzi! diverso è stato quanto si è invece verificato nel quartiere a seguito dell’entrata dei paesi dell’est nella comunità europea, con la costituzione di “rapide” comunità (via Casilina, Maddaloni, Labico …) di immigrati che senza alcuna seria possibilità di integrazione lavorativa, hanno arricchito la zona di illegalità ; nel primo semestre di quell’anno non c’è stata abitazione in cui non ci sia stato un furto o un tentativo di furto; nella parrocchia è stato necessario sostituire TUTTE le porte della canonica e della chiesa sventrate dai piedi di porco nel tentativo di penetrarvi; ora non c?è famiglia ai piani bassi che non abbia reagito istallando inferiate alle finestre che adesso sembrano delle miniprigione per gli occupanti!
Tutto questo non per contrastare quanto espresso nelle valutazioni ricevute, ma per dire che il fenomeno è complesso e va gestito con ponderatezza ed equilibrio evitando dall’una e dall’altra parte slogan e prese di posizioni del tipo on/off.

un caro saluto
Luciano