1. La razionalità lineare non favorisce processi di integrazione
Tutti siamo convinti e persuasi del valore della persona e della sua unitarietà, in quanto non si tratta di un semplice affastellamento di parti anatomiche, funzioni, potenzialità psichiche e capacità relazionali, ma di un essere vivente che esige un approccio olistico soprattutto quando un qualsiasi problema – a qualsiasi livello e in qualsiasi epoca esisten-ziale – interessa tale essere vivente.
Tutti siamo convinti e persuasi che quando parliamo di salute non intendiamo semplice-mente non avere malattie, ma uno stato di benessere complessivo che abbracci il bio lo psichico e il socio/relazionale.
Tutti siamo convinti e persuasi che un conto è curare (tentare di produrre guarigione da patologie in atto: curing) e un conto è prendersi cura (secondo reciprocità – caring).
Tutti siamo convinti e persuasi che quando lo stato di benessere dovesse, per varie ragio-ni, diminuire – o, peggio, essere pesantemente compromesso ? si rende necessario che i professionisti della cura e quelli del prendersi cura debbano essere fortemente interrelati in una interdipendenza professionale positiva se si voglia riportare la situazione ad uno stadio di benessere il più alto possibile.
Nonostante tali convinzioni però nella realtà ci troviamo di fronte ad uno sconcertante si-stema erogante servizi frammentato e parcellizzato che ci obbliga ancora ad interrogarci, a parlare e a discutere di integrazione.
Perché tutto questo?
Forse uno dei motivi potrebbe essere il fatto che questa frammentazione non risiede nelle cose, ma nella necessità umana di ragionare e di operare per distinzioni analitiche, specie quando si devono mettere in atto pratiche di natura organizzativa ed amministrativa: la nostra razionalità lineare ci spinge ad attuare processi di scomposizione analitica al fine di mettere ordine nel pensiero e nella progettazione. Si tratta di un?esigenza di razionalità strumentale tipica del managerialismo, che ci porta a suddividere artificialmente le cose per poter rispondervi con più comodità, secondo quella razionalità strumentale tipica del manager (appunto!).
Ma dopo la scomposizione viene naturalmente il problema della ricomposizione e la cosa diventa di difficile soluzione perché trova remore ed ostacoli proprio nella potente razio-nalità lineare che ha voluto all?inizio scomporre, divaricare e tenere separato quello che, nel nostro caso, chiamiamo sociale (caring) e quello che chiamiamo sanitario (curing).
Questo è ciò che accade nel nostro sistema di welfare: un sistema tipicamente costruito da ?filiere? tecnico/amministrative che generalmente vengono disposte in parallelo, speran-do che poi si possano in qualche modo incontrare ed integrare (e bisogna aggiungere che si tratta non solo del classico sociale e sanitario, ma occorrerebbe tener presente anche l?educativo, lo scolastico, il lavoro e le indennità monetarie).
Questi meccanismi male si conciliano con la necessità cogente di una irrinunciabile inte-grazione socio-sanitaria che, secondo l?approccio olistico della persona, richiede che tutte le prestazioni socio-sanitarie ?debbano sempre essere finalizzate alla vita, addirittura prima ancora che alla stessa salute, dato che si può vivere con pienezza di senso anche da malati, come dimostrato da biografie di molte persone in condizioni di cronicità?. (1)
Occorre inoltre ricercare altre specifiche responsabilità.
Si parte dagli amministratori politici e manager pubblici, spesso molto distratti da a-zioni per gestire consensi, potere, favori, che normalmente sono più facilmente ottenibili quando frammentazione e divisione permette di moltiplicare tali operazioni.
Si giunge poi alle responsabilità dei professionisti molti dei quali (in particolare i pro-fessionisti del servizio sanitario), sono affascinati da tendenze all?iperspecializzazione che spinge necessariamente verso un?organizzazione degli interventi frantumata e setto-rializzata. Altri professionisti poi manifestano una forte allergia al ?lavoro interprofes-sionale?, rifiutando di accettare la necessaria interdipendenza per affrontare problemati-che multidimensionali.
Se si aggiunge che la normativa regionale del Lazio più che contrastare facilita le negati-vità sopra evidenziate, appare estremamente difficile pensare ad cambiamento in tempi brevi.
Nel proporre una diversa politica per i cittadini in situazione di fragilità bisogna tener ben presenti che le resistenze più forti giungeranno da chi sente minacciati dalla perdita di po-teri, consensi, favoritismi, prassi consolidate per facili carriere. Tutto questo si sviluppa e si consolida all?interno di un sistema che sempre più appare a tutela dei suoi ?produttori?, piuttosto che a tutela del benessere delle persone destinatarie degli interventi.

2. Avviare processi di integrazione

a) Rispettare la legge. Le seguenti aree: materno-infantile, handicap, patologie psichia-triche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e pato-logie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative – se-condo il Decreto Legislativo 229/99 (art. 3/septies) – sono soggette a prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria al fine di soddisfare bisogni di salute che ri-chiedono interventi ?unitari di prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra azioni di cura e quelle di riabilita-zione?.
Quindi nel campo specifico delle situazioni di fragilità (come sopra individuate) l?integrazione socio-sanitaria ha un imperativo legislativo inequivocabile: le prestazioni sociosanitarie cui hanno diritto le persone e cioè le ?prestazioni sanitarie a rilevanza so-ciale? e le ?prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria? devono essere ga-rantite dal servizio sanitario e rientrano nei LEA, mentre i comuni devono garantire le ?prestazioni sociali a rilevanza sanitaria? e devono essere erogate in integrazione con le prestazioni di competenza del servizio sanitario.
Il DPCM 29 novembre 2001 ? in attuazione dei LEA – all?allegato 1C ? area integrazione sociosanitaria stabilisce. ?Nella tabella riepilogativa, per le singole tipologie erogative di carattere socio-sanitario, sono evidenziate, accanto al richiamo alle prestazioni sanita-rie, anche quelle sanitarie di rilevanza sociale ovvero le prestazioni nelle quali la com-ponente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie de-stinate al SSN?.
Le prestazioni individuate sono quelle (ricordiamolo ancora) a favore di minori, donne, famiglia, anziani, disabili, pazienti psichiatrici, persone con dipendenza da alcool, dro-ghe e farmaci, malati terminali, persone con patologie da HIV.
Ma la regione Lazio non ha mai tradotto in normativa regionale i LEA del DPCM 29 nov. 2001.

c) Le azioni di cambiamento
Occorre riportare le Istituzioni (servizi sanitari, servizi sociali, servizi educativi, formati-vi, di sostegno al lavoro, di tempo libero, ecc.) ad essere organizzativamente coerenti con la loro ?mission?.
In particolare le istituzioni sanitarie e sociali devono occuparsi delle esigenze delle per-sone in situazione di fragilità (quelle sopra citate), ponendo tra gli obiettivi fondamentali la salute (cioè il bene-essere) dei cittadini, e operare con un sistema integrato di rispo-ste.
Il percorso operativo che prima di tutto deve portare prima di tutto a rivedere gli attuali livelli di competenze e di decisione:

? 1° livello di integrazione: il livello POLITICO-AMMINISTRATIVO personale poli-tico e personale dirigenziale apicale.
Quindi: UNICO ASSESSORATO INTEGRATO quale soggetto decisore politico-amministrativo su questioni riguardanti persone in situazione di fragilità (le aree so-pra descritte) e conseguente organizzazione dei dipartimenti per funzioni (es. dipar-timento alla prestazioni sociosanitarie integrate di base e standard garantiti per tutti) e non per filiere di competenze che tendono a riprodurre standard operativi separati;
? 2° livello di integrazione: il livello intermedio organizzativo di ASL e Comuni con dirigenza di struttura fortemente integrata a livello di progetti di area, discussi e par-tecipati dai cittadini interessati e incardinati nei piani di zona;
? 3° livello di integrazione: il livello di operatività diretta sui singoli cittadini in cui o-perano le diverse professionalità con programmazione di progetti personalizzati con-divisi, presa in carico, continuità assistenziale.
? Inoltre a quest?ultimo livello di operatività diretta occorre:
 individuare l?Istituzione che ha la ?responsabilità prevalente? e che quindi deve esercitare la ?presa in carico? della persona;
 favorire lo studio e la sperimentazione di diverse e diversificate modalità operati-ve di lavoro ad (esempio lavorare?per progetti? con analisi e condivisione dei si-stemi di partecipazione da basso per definire target, obiettivi, risorse economiche e professionali da mettere a disposizione, programma di interazione professionale e di governo, sistemi di controllo e valutazione, ecc.), respingendo tentazioni di autarchia, di dominio e di deleghe improprie.

In tale ottica devono quindi essere visti gli interventi sanitari, sociosanitari, educati-vo/formativi e sociali, integrando ovviamente con pari dignità anche il terzo settore, l?associazionismo delle famiglie e la comunità locale.

3. In conclusione
Credo che occorra attivare un processo di cambiamento culturale proponendo un lavoro informativo e formativo a livello culturale e giuridico su:

? principi irrinunciabili: unitarietà della persona, rispetto e partecipazione diretta, sussi-diarietà e diritto alla ?presa in carico? globale;
? rispetto della mission da parte delle istituzioni pubbliche;
? giusto protagonismo agli operatori attraverso una formazione fondata sul?interdipendenza professionale, in relazione alla multidimensionalità dei problemi da affrontare;
? attenzione forte ai contesti attraverso alleanze tra associazionismo degli utenti, opera-tori volontariato e comunità locali;
? ricerca di forme innovative di integrazione socio/sanitaria, anche prendendo a prestito soluzioni già consolidate in altre regioni:
 Veneto: i servizi sono da sempre integrati e gestiti dalle USSL;
 Piemonte: utilizza il sistema delle convenzioni tra ASL e Comuni;
 Friuli Venezia Giulia: garantisce l?integrazione sociosanitaria nell?ambito della legge 31 marzo 2006, n. 6 ? capo II: Politiche so-ciosanitarie integrate;
 Toscana: garantisce l?integrazione sociosanitaria nell?ambito della legge 24 febbr. 2005 n. 41 art. 3 c.2 a).

Inoltre ha creato ?le società della salute? struttura di gestione (con rilevante potere ai comuni) di tutti i servizi definiti dalla legge socio-sanitari. Nel nuovo soggetto confluiscono risorse e personale ASL e comunale con unica direzione e unico sportello per tutti i cittadini di riferimento.

(1) Folgheraiter F., Integrazione socio-sanitaria, in Lavoro sociale n.3/09, Erickson, Trento, 2009, pg. 436.