“Da incorniciare il pezzo di Ichino”. Avevo in mente queste parole di Beppe Severgnini mentre mi accingevo ad ascoltare il giuslavorista e senatore Pietro Ichino durante l’incontro organizzato dalla scuola di politica Praxis. Il riferimento era all’editoriale uscito sul Corsera lo scorso 8 febbraio, “nessuno pensa al Welfare dei figli”, in cui Ichino tratteggiava un’impietosa quanto necessaria rappresentazione del mercato del lavoro oggi in Italia. “È vero: da anni, ormai, a un ventenne o trentenne che cerca lavoro le aziende offrono di tutto, tranne un rapporto di lavoro regolare”.

“Lavori di serie B, a progetto o comunque a termine”, già considerati “un privilegio difficilmente ottenibile” e “di serie C”: stage semigratuiti in azienda tutto lavoro e niente formazione”.

Io, mio malgrado, ancora incastrata a 32 anni nella scomoda posizione di figlia periodicamente “a carico”, mi sono purtroppo riconosciuta nel profilo disegnato dal professore. Come la maggior parte dei miei coetanei, amici e blogger. Spesso laureati e specializzati, con master e stage in azienda. Ma precari, con poche garanzie e ancora meno certezze per il futuro prossimo.

“L come lavoro”. Così ci ha accolti il padrone di casa, Amedeo Piva, introducendo l’argomento del dibattito, sintesi delle tre M quest’anno oggetto della riflessione di Praxis, cioè “mercato, migrazione, maternità”. Tutte riunite nell’ansia per quella variabile “L”, in grado di gettare sempre più insicurezza nella vita delle persone.

“Il Paese vive una gravissima sofferenza” –ha esordito Ichino. Bloccato da un diritto del lavoro ormai anacronistico e comunque esteso a una fetta esigua della popolazione –la generazione dei padri. Ancora beneficiari del contratto a tempo indeterminato, “largamente opzionale” invece per i figli, che vivono la precaria condizione di chi non può pianificare il proprio futuro se non entro il giro di pochi mesi.

Questo dualismo sintetizza oggi nel Paese l’impossibile contrapposizione tra generazioni con diritti diversi, un vero e proprio apartheid –lo ha definito Ichino- che potrà essere superato solo attraverso l’elaborazione di un nuovo codice del lavoro, in grado di coniugare flessibilità –per assecondare le esigenze di un mercato dove il ritmo di obsolescenza delle imprese si misura ormai in mesi- e sicurezza. Semplice nella forma e comprensibile, così come lo era stato lo Statuto dei lavoratori quarant’anni fa. Capace di creare una diffusa cultura del lavoro per attirare nel Paese investitori stranieri e instaurare un nuovo sistema di relazioni industriali. Scongiurando insieme il rischio di un “buco generazionale”: l’impossibilità per i giovani lavoratori di inverare i propri progetti di vita.

Alessia Mosca, membro della Commissione Lavoro alla Camera, ha illustrato, durante la seconda parte dell’incontro, delle proposte concrete per coinvolgere sempre più donne italiane nel mercato del lavoro, attraverso ddl già depositati alla Camera. “Sono piccoli semi –ha spiegato- noi speriamo siano vitali”.

La speranza di una primavera possibile. Così ho pensato, tornando a casa.