Chi di noi non prova sgomento per quest’Italia che emerge dalle viscere della nostra società e si riversa nel Paese con la traccia e il sospetto di indecenti conversazioni, di losche frequentazioni, di scollacciati libertinaggi, di oscure trame affaristiche, di spericolate operazioni di delinquenza organizzata?

Chi di noi non prova vergogna a pensare che il proprio Paese sia quello, volgare e spudorato, che le cronache dipingono quotidianamente con impietoso martellamento?

Chi di noi non prova un profondo scoramento di fronte ad una vita politica così cinica e bugiarda come è quella che non riesce a risalire la china del fazioso cicaleccio e a riproporsi come guida anche morale (sì, morale!) di un Paese piegato dalla sua disperazione civile e dalla sua profonda povertà culturale?

Siamo stanchi, vorremmo un santo (l’abbiamo detto altre volte), un qualcuno cui credere ed a cui inspirarci senza tema di doverci improvvisamente trovare a desiderare di calpestarlo.

Vorremmo una pausa, in questo grigio inverno piovoso della nostra storia più recente.

Ci sarà pure una via d’uscita, un modo per non affondare nel fango cantando a squarciagola, gai e disperati, le “canzoni” del ballerino e re mancato!

Proviamo, sì, ancora proviamo a ragionare e sperare: dalle macerie del muro di Berlino (e da tutto ciò che ne è seguito, in Italia, nei primissimi anni ‘90), l’Italia non si è più ripresa; spazzati via i puntelli ideologici che confortavano le differenti visioni del mondo, travolti i partiti dall’assimilazione deteriore (tutti uguali, tutti famelici, tutti corrotti), abbiamo scelto la via dell’auto-rappresentazione che ha generato una leadership coerente con tale auto-rappresentazione: stessi vizi (tanti), stesse virtù (poche), stesso desiderio di illusione.

Si dirà: nulla di strano; il ceto politico riflette la società che governa e lo elegge!

Forse è vero (anche se è amaro pensarlo), se non fosse che il ceto politico è riuscito ad inserirsi nel meccanismo di auto-rappresentazione del Paese e l’ha sapientemente pilotato, creandone l’ideologia, in sostituzione di quelle tramontate: libertà, insofferenza per le regole, leggerezza, attivismo, spirito imprenditoriale, migliorismo nazionalistico: noi siamo i più bravi, i più furbi, i più allegri, senza di noi il mondo sarebbe più grigio, abbiamo cervelli che gli altri ci invidiano, e poi … noi cuciniamo meglio degli altri!

Che cosa ci è mancato per sottrarci all’auto-rappresentazione che abbiamo disegnato?

Azzardo una risposta: ci è mancata la sferza della verità, anche amara. L’unico sussulto, quando abbiamo lottato per entrare nell’euro, è rimasto isolato; poi di nuovo giù, a cercare di non sforzarci, di non confrontarci con serietà, di raccontarci barzellette, di dimenticare le condizioni civili del Paese: endemica illegalità, macro illegalità ma anche diffusa micro illegalità (piccola evasione fiscale e contributiva, colf non regolarizzate, canoni non pagati, acquiescenza alle mancette buro-elusive, certificati medici fasulli, furbacchionismo, biglietti non pagati sull’autobus, prezzi doppi, con fattura e senza fattura, affissioni abusive, scritte sui muri, abusi edilizi, calunnie non punite, etc), intere regioni appaltate alla gestione delle mafie locali, con l’acquiescenza dei cittadini, debito pubblico soverchiante, pressione fiscale conseguente e ben difficilmente riducibile (si dimentica spesso che l’ammontare del debito di un Paese che voglia restare solvente non è altro che il valore attuale degli avanzi di bilancio che dovremmo produrre!), cultura inesistente, scuola dissestata, università fuori da ogni classifica internazionale, ricerca scientifica scadente, immondizie dappertutto, città sporche, giustizia in eterno bilico fra riforme brandite come minacce e difese di principio con negazione dell’evidenza, infrastrutture inadeguate, etc., etc. e, purtroppo, etc..

Chi intendesse raccontarla questa verità per fare appello alla sicura capacità degli Italiani di reagire da forti e da dèsti, è votato alla sconfitta nella battaglia politica imperniata sull’auto-rappresentazione del Paese operoso, felice, vitale e, comunque, migliore degli altri. E quindi nessuno lo fa: né chi governa, timoroso che gli vengano rinfacciate responsabilità, certamente non solo sue; né chi si oppone, che come programma si dà quello di battere Berlusconi, non importa dire per fare che cosa e come.

La verità non piace quando è amara; non paga elettoralmente; non gratifica, è antipatica, è fastidiosa; pone temi di responsabilità che da una parte e dall’altra si intendono fuggire; è faticosa, la verità; è sconvolgente, talora, la verità; ma è la verità; e prima o poi viene fuori e più tardi viene fuori più forte è la sua sferza.

Non è però (forse, ancora) troppo tardi per cominciare a pretendere di guardarla in faccia, la verità, e provare a sperare che questa scelta sia contagiosa; è esercizio tutto sommato semplice, almeno dal punto di vista del metodo: studiare con cura e senza pregiudizi i temi che abbiamo davanti nei tantissimi settori nei quali occorre porre mano ad una svolta; chiedere sempre conto di quanto ci viene detto al riguardo; pretendere che ci vengano dette poche cose per volta e con chiarezza e supporto di dati; rifiutare con sdegno ogni slogan (una frase che consiglio di usare in questi casi è più o meno la seguente: “tu queste cose valle a dire alla TV, non a me!”); pretendere che le cose che ci vengono dette siano esposte con calma e senza retoriche; pretendere argomentazioni; non consentire di cambiare discorso; non consentire divagazioni sulle responsabilità pregresse (normalmente di altri) in cambio di precise asserzioni sul da fare e sul come fare; non accettare proclami programmatici senza dettagliati ragguagli sul come finanziarli (cioè: dove si prendono i soldi e da che cosa si stornano); e, visto che siamo in campagna elettorale, non votare assolutamente e per nessun motivo chi non accetta queste regole! E, poi, fare con determinazione quanto si è ben studiato di dover fare!

So di essere riguardato come un pessimista; ma, invece, credo ancora nella capacità degli italiani, dèsti e forti, di guardare in faccia alla verità e nella nostra forza di porre riparo, per quanto sacrificio possa costare, agli errori, di chiunque siano stati; credo che questo estremo sforzo sia quanto dobbiamo ai nostri figli ed ai nostri nipoti.