Dopo la satira della scorsa settimana, voglio parlare direttamente di politica, senza usare mezzi termini, senza usare metafore.
La manifestazione di sabato scorso a Piazza del Popolo (14 marzo) ce lo impone, impone a tutti uno sforzo di schieramento. La manifestazione ha dettato degli aut aut: o stare dalla parte delle regole o del sopruso, delle istituzioni o dell’arroganza di un potere sempre più personalistico e autoritario, tanto da estendere la propria pressione fin sui palinsesti televisivi.
La manifestazione di sabato pone a tutti una domanda preliminare da cui discende tutto il resto del ragionamento: la situazione attuale del Paese è a rischio di tenuta democratica o no?
Il seguito del mio articolo è pensato per chi risponderebbe senza incertezze: sì ! Ma spero di fornire spunti di riflessione anche a coloro che non vedono rischi imminenti.
Parto da due articoli apparsi recentemente sul Corriere della Sera, “Un partito prigioniero” di Angelo Panebianco (10 marzo ) e “Piazze piene e idee vuote” di Sergio Romano (13 marzo): solo i titoli sono già un programma. Il nuovo corso di questo giornale dal ritorno di De Bortoli è veramente sconcertante. Come a dover espiare le colpe di Mieli che si schierò apertamente col centrosinistra durante le utile elezioni, col nuovo Direttore, finalmente domato, siamo arrivati al cerchiobottismo ( o meglio, “centribottismo” ) elevato a filosofia politico/giornalistica.
Panebianco parte nel suo fondo dal pasticcio delle liste PdL, ma lo sorvola rapidamente come un episodio secondario, un piccolo incidente di percorso, per affondare contro le colpe di un PD troppo acrimonioso nel voler far rispettare a tutti i costi le regole:


“I dirigenti del Pd avrebbero potuto dire: accertato che i nostri avversari sono dei pasticcioni, noi che abbiamo a cuore la sorte della democrazia e che non possiamo accettare che una competizione democratica venga svuotata di significato per assenza del nostro principale antagonista, sosterremo le scelte che farà il presidente della Repubblica per sanare questa anomala situazione. Sarebbero usciti da questa vicenda a testa alta, come l’unico partito importante dotato di senso delle istituzioni. Ma ciò avrebbe anche richiesto che il Pd fosse un partito diverso da ciò che è, un partito forte…”

La conclusione è ovvia:lì comanda Di Pietro ( che sintonia, che originalità: anche Cicchitto e Bonaiuti ce lo ripetano ogni sera ai TG!). Non capisco poi che male ci sarebbe a condividere delle azioni politiche con un alleato….Perchè dall’altra parte non comanda Bossi? (ma il centribottismo non lo dice, si guarda e si critica di preferenza a sinistra…)

Quindi tutto l’articolo non è che un atto di accusa verso il PD, non più una parola verso chi ha fatto dell’imbroglio nella presentazione delle schede il primo argomento di campagna elettorale.
E riecco emergere il centribottismo finale: “L’intera vicenda si presta a considerazioni amare sulla qualità, la tempra e la professionalità della classe politica, di destra e di sinistra.”

Come fosse la stessa cosa chi imbroglia e chi accusa gli altri dell’imbroglio, pretendendo il rispetto delle regole.

E veniamo a Sergio Romano. Come Panebianco la prima riga (ma solo la prima) è un concetto condivisibile nella sua ovvietà:
“La piazza e le grandi manifestazioni popolari appartengono alla democrazia e ne dimostrano la vitalità.”

Ciò detto (e subito dimenticato) ecco una serie di accuse e critiche verso chi ha chiamato in piazza i propri sostenitori, accomunando in questo esecrabile appello alla piazza (ma non era democrazia?) sia il centrosinistra che la destra:


“Queste due manifestazioni nazionali hanno già avuto alcuni effetti perniciosi … Il centro-sinistra scende in piazza con una formazione simile a quella dell’Unione… Un avversario comune non basta a creare un programma comune. Il centro-destra, dal canto suo, soffre di una stessa malattia.”

Insomma, Destra e Sinistra?: sono tutti uguali! Altro mirabile esempio giornalistico di centribottismo del nuovo corso del Corriere della Sera.
Ebbene io mi sono rotto le scatole di tutti coloro, che pur di galleggiare non si schierano. Siamo arrivati ad un punto irreversibile di criticità democratica: il Parlamento legifera solo a colpi di fiducia, assistiamo ad un attacco alle garanzie sindacali che ha messo in guardia anche il Presidente della Repubblica, che ha minacciato di rinviare alle camere il provvedimento sull’arbitrato, l’informazione o è imbavagliata o è ad personam, lo testimoniano le percentuali bulgare della ripartizione degli spazi televisivi (56% degli spazi ai partiti di governo contro il 18% dell’opposizione), gli equilibri tra gli Organi dello Stato sono allo sfascio, gli organismi di controllo sono controllati e sviliti, la questione etica intacca ogni settore pubblico, anche quelli che pensavamo immuni, come la Protezione Civile. E via discorrendo. Se questa non è emergenza democratica! Altro che tutti uguali!
Quindi:

1 – quella che è una critica (Il centro-sinistra scende in piazza con una formazione simile a quella dell’Unione) è una fase transitoria necessaria della congiuntura politica attuale e meno male che ci sia questa voglia di unità come la manifestazione di sabato ha fatto emergere in tutte le forze politiche. Le differenze, che pur ci sono, devono essere momento di accrescimento dell’offerta politica non di paralisi, come in effetti lo fu col governo Prodi e penso e spero che la lezione sia servita.

2 – Altra critica: il centrosinistra è legato solo dall’antiberlusconismo.
La sinistra sembra avere dimenticato che questa alleanza di comodo fra partiti profondamente diversi fu il principale motivo della caduta del governo Prodi nel 2008. Un avversario comune non basta a creare un programma comune.
Tutti quei centribottisti che lo dicono dovrebbero anche dire che il centrodestra è legato solo dal berlusconismo. Qualcuno pensa veramente che esista un futuro per il P.d.L. senza Berlusconi? Non lo pensano neanche nel PdL, tant’è che Fini con la nuova organizzazione di fedelissimi “Generazione Italia” sta già pensando al futuro.

3 – certo che non basta essere contro qualcuno e che invece sarebbe auspicabile “ascoltare la voce di candidati che spiegano ai loro elettori quale programma intendano applicare se saranno eletti.” , come sollecita Sergio Romano. Perché a Piazza del Popolo la Bonino non lo ha fatto? Non lo hanno fatto l’operaia della OMSA e l’insegnante di Palermo? Quindi basta anche con questi luoghi comuni prefabbricati che in piazza non si parla dei problemi della gente! Qualcuno ne parla, altri parleranno delle intercettazioni e dei magistrati comunisti: è questa la differenza, non siamo tutti uguali!

4 – E’ chiaro che questo sentimento diffuso di alleanza tra tutte le forze di sinistra va cavalcato (un grave errore sarebbe tradire gli ideali del proprio elettorato), ma anche governato nella consapevolezza che in prospettiva aprirà problemi con l’UDC. Per il PD è giunta l’ora della chiarezza: chiarezza nei programmi del Partito, chiarezza nei rapporti con gli alleati del centrosinistra su temi comuni. Solo allora si potrà aprire un tavolo d’intesa con l’UDC senza tatticismi postdemocristiani tipo doppi forni.

Questo è il percorso che vedo e sul quale mi piacerebbe che i lettori frequentatori del nostro sito si esprimessero per dire la loro e portare correzioni:

1. Prima cosa: definizione di programmi e rafforzamento della leadership all’interno del PD anche alla luce dei recenti fuoriusciti
2. Seconda cosa: chiarito chi siamo e dove andiamo, condivisione del programma con gli alleati storici a sinistra (ex Unione) e IDV.
3. Terzo momento: confronto con l’UDC, diretto, non assembleare, ma nella consapevolezza di rappresentare l’intero centrosinistra. Se prevalesse invece la strada di un confronto subito e solo tra PD e UDC sarebbe percepita come un’operazione di vertice, niente più che uno spostamento al centro del partito e quindi sarebbe un’operazione destinata al fallimento.

Tutti abbiamo coscienza che l’alleanza con l’UDC sarà fondamentale per vincere le prossime elezioni. Per questo occorre andarci senza pregiudiziali, senza arroccamenti, ma anche in posizione di forza, senza perdere i propri connotati riformisti. E non sarà un percorso facile. Se poi strada facendo si dovesse perdere qualche pezzo, occorrerà comunque privilegiare l’obiettivo generale.

E’ arrivato il momento di schierarsi, dell’unità, della testimonianza, anche solo col voto. E lo dico ai tanti amici che so che non vogliono votare dopo tante disillusioni. Non è il momento della gauche cavriar, la sinistra-caviale come chiamano a Parigi la sinistra intellettualoide da salotto. Il caviale lasciamolo a dopo le elezioni per festeggiare.