Ricorderemo il 2009 come l’anno in cui, per la prima volta, abbiamo assistito ad una forte limitazione del diritto d’asilo nel nostro Paese. I respingimenti in Libia, il primo dei quali è stato effettuato lo scorso maggio, non fanno più notizia: sono una prassi abituale, una procedura come un’altra, che ormai viene peraltro espletata a buona distanza dalle nostre acque territoriali, il più delle volte senza un coinvolgimento diretto delle nostre navi. Ma il silenzio che è sceso su questo argomento non rende la questione meno grave.

La situazione nel resto d’Europa non è incoraggiante. Il sistema comune d’asilo che l’Europa da anni tenta di costruire è ancora lontanissimo: le diversità tra i sistemi d’asilo degli Stati membri sono troppo numerose e sostanziali; alcune situazioni, come quella della Grecia, recentemente messa in luce dall’UNHCR, non garantiscono affatto l’accesso alla protezione, né la dignità e la sicurezza che i rifugiati legittimamente cercano nel nostro continente. Forse è arrivato il momento di ammettere che il processo di armonizzazione va rivisto radicalmente. Le politiche di contrasto dell’immigrazione irregolare hanno finito con il prevalere sulla tutela dei più deboli.

Molto ci sarebbe da dire infine sul tema dell’integrazione. Solitamente si pone l’accento solo sul dovere dello straniero di integrarsi, fino a trasformare in un requisito richiesto per legge quello che, soprattutto per un migrante forzato, è anche una legittima aspettativa e un diritto. L’integrazione non è un percorso a senso unico e per questo le responsabilità per la riuscita del processo non possono che essere condivise da chi arriva e da chi accoglie. Le Stato italiano, anche da questo punto di vista, è in affanno: iniziative episodiche e contraddittorie non si armonizzano in un sistema coerente. C’è ancora poca chiarezza sugli obiettivi e, più ancora, su come si intende conseguirli. Paradossalmente proprio i più vulnerabili si trovano privi di opportunità concrete di integrarsi nella società. Che senso ha riconoscere la protezione internazionale, se poi si permette che i rifugiati scivolino ai margini della società perché non trovano risposte ai loro bisogni reali?