L’impressione che si ricava dal dibattito e dalle iniziative messe in campo in casa Pd in queste settimane è quella di una grande offensiva lanciata sui contenuti, con l’obiettivo di segnare il campo con una forte innovazione. Dove questa offensiva porterà e se si rivelerà la strategia vincente, è prematuro da capire. In gioco ci sono interessi e rappresentanza di nuove generazioni e classi sociali, ma anche convinzioni e valori radicati, cose che, per dirlo con parole forti ma familiari per il popolo di centrosinistra, hanno a che fare con l’identità e l’anima.

Perché se le cose stanno come le ha descritte Paolo Feltrin, politologo dell’Università di Trieste, in un recente incontro a porte chiuse organizzato da Trecentosessanta – l’associazione diretta da Francesco Russo vicina a Enrico Letta – sicuramente il Pd ha tanto da lavorare per mettersi in sintonia con la maggioranza dell’elettorato, ma per farlo deve correre anche dei rischi e l’equilibrio corre sul filo. Cosa ha detto Feltrin? Sulla base di dati numerosi e approfonditi, ha dimostrato che la Lega vince (e si estende, vedi recenti risultati in Emilia) non perché è radicata territorialmente, ma perché presidia, nel lungo periodo, i temi di agenda politica diventati centrali nel paese. E i problemi in agenda sono quattro: la frattura storica tra Nord e Sud, appunto; Roma-ladrona, intesa come accentramento dei poteri; “basta-tasse” (collegato a “basta-cinesi” e “basta-globalizzazione”); immigrazione (un partito che voglia essere ascoltato deve sapere che “è” un problema).

In Veneto il voto operaio è andato per il 48% alla Lega, per il 14% al Pd; i lavoratori autonomi hanno votato per il 53% alla Lega, per l’11% al Pd. Il Pd, nato per prendere i voti al centro, viene votato dagli insegnanti e percepito come partito di sinistra.

Dunque, il Pd deve cambiare.

In quali terreni, allora, si sta spingendo e in quali si spingerà? Lavoro e fisco, innanzitutto. Lo ha detto il responsabile economico Stefano Fassina ieri al Foglio, ragionando di “rivoluzione fiscale” – e definendo, tra l’altro, una “cattiva idea” la proposta di un contributo fiscale di solidarietà sui redditi superiori a 200 mila euro l’anno per coprire l’allungamento della cassa integrazione presentata la scorsa settimana dal gruppo Pd alla camera –, lo dicono i documenti che circolano sui temi del lavoro. L’occasione più vicina per tradurre nel concreto pubblicamente queste idee sarà l’Assemblea nazionale del 21 e 22 maggio, alla quale ne seguiranno altre due in autunno.

Ma non si può nascondere che all’interno del partito esistono accenti diversi sui quali la composizione andrà trovata.

In una conferenza stampa ieri alla camera, lo stesso Fassina, Cesare Damiano e Tiziano Treu hanno fatto il punto sul “collegato lavoro” appena approvato, la legge, cioè, che il presidente Napolitano aveva rinviato alle camere, sul quale il Pd ha segnato un importante punto a suo favore, grazie allo sfascio nel Pdl. Le correzioni che l’opposizione è riuscita ad apportare sull’arbitrato sono di merito e sono importanti, checché ne dica il ministro Sacconi (che peraltro non si è mai fatto vedere in aula, è stato ricordato) e vanno nella direzione della difesa del lavoratore («l’essenza delle tutele è garantita, altrimenti qualunque diritto diventa negoziabile» ha detto Treu). Damiano e Treu hanno criticato il riconoscimento delle rappresentanze territoriali imposto dalla Lega: «Questo mina i principi, apre la strada ai contratti pirata e al dumping sociale » ha detto Damiano, aggiungendo che il partito rifiuta di «trasformare il diritto del lavoro in diritto commerciale».

All’Assemblea il Pd si rivolgerà anche ai lavoratori autonomi e a figure tradizionalmente non presenti nel mercato del lavoro. La scommessa è quella di presentare un’idea di paese che possa parlare anche a coloro che non si sono mai riconosciuti o non si riconoscono più nel centrosinistra.

(Articolo pubblicato da Europa in preparazione dell’Assemblea PD)