Mentre tornavo a casa dopo l’iniziativa dell’altro ieri (incontro di Praxis con Fassina e Sposetti), ripensavo al dibattito. Affastellavo voci e impressioni e mi domandavo: da noi se arrivasse nel corso del dibattito uno sconosciuto che alza la mano per intervenire, che succederebbe? Avrebbe lo spazio per intervenire o gli si direbbe che è tardi che preferiamo ascoltare chi già conosciamo e si è già segnato. O che siamo venuti soprattutto per ascoltare i relatori?

Leggevo ieri l’altro un’offerta di lavoro a Dallas sul WEB: nel testo fra l’altro si esplicitava: Il candidato dovrà trovare soluzioni innovative ed avere idee proprie per rinnovare nel nostro settore tecnico… ecc. ecc. E dove lo trovi in Italia un annuncio di questo tipo? Qualcuno che chiede al nuovo assunto idee nuove e lo sforzo per rinnovare… In Italia c’è l’assoluta convinzione che ogni innovazione è già patrimonio dell’organizzazione. Dall’esterno non ci si aspetta nulla. Ma non solo nelle imprese. Anche nel partito il massimo dell’innovazione si attende che arrivi al più presto dal centro. In periferia ci si lamenta o si fa il tifo.

Ecco una questione che mi sono posto spesso nelle riunioni politiche a cui ho partecipato. Se uno alzasse la mano, ora… a che servirebbe? Certo, non è un intervento che può in generale cambiare qualcosa, forse il motivo che mi spinge a scriverti è una riflessione più di fondo. Mentre chi parte dal territorio non fa che ribadire nel proprio contributo al dibattito il proprio ruolo e il lavoro già svolto, chi alza la mano è interessato alle idee, il dibattito serrato sulle scelte e sulle cose da scegliere. E oggi questa pratica mi sembra poco seguita nelle strutture del nostro partito ma anche, con rammarico di tutti noi, per esempio già nell’incontro dell’altra sera.

Immaginavo che uno volesse replicare all’intervento di Sgammini, sostenendo che è difficile stabilire un rapporto di causa effetto tra i suoi gazebo e il voto degli elettori, specie dove almeno a Roma, nei nuclei abitativi “storici”dove, per dirla con Roberto, “passa più gente”, noi abbiamo comunque un risultato elettorale migliore a differenza dei nuclei abitativi di nuovo insediamento più residenziali dove però c’è una presenza sociale più giovane. Un concetto tutto da approfondire. Vero. Ma in quale sede?

Dove è che le idee si possono verificare se le nostre riunioni più che sollevare dubbi servono a consolidare quello che già si sa? L’intellettuale collettivo evocato anche da Fassina mi sembra oggi il luogo dove due persone pensano e si confrontano nelle segrete stanze del palazzo; e poi tutti insieme verso l’esterno a fare propaganda.

A voler guardare ancora un po’ più a fondo io vedo una grande resistenza da parte di tutti ad immaginare e sperimentare un collettivo dove le idee richiedono verifiche e riscontri, i giudizi di merito possono divergere da persona a persona e le decisioni comuni essere prese a maggioranza.

Dove sia possibile – sui singoli punti – essere battuti, fare la minoranza, o vincere in maggioranza senza però aver raggiunto l’unanime consenso.

Dove sbaglio?