Lo sceriffo non si smentisce. Dalla tre giorni Idv di Vasto, Antonio Di Pietro esce con il passo tronfio di chi sa che – comunque vada per il centrosinistra – a lui è riservato un crescente consenso elettorale. Il silenzio dell’equilibrista Bersani, occupato dalle beghe interne ai democrats, offre la possibilità a Tonino di giocare al capo dell’opposizione. Una pacchia per uno che ha la rivoltella carica e una gran smania di usarla. Prima pistolettata: il Pd è «un partito in decomposizione», su cui grava ad ogni modo «il diritto-dovere di farsi carico di promuovere l’alleanza e al suo segretario di esserne leader». L’ovazione infiamma il ferro già fumante e Tonino preme nuovamente il grilletto. L’Idv «appoggerà il candidato scelto con le primarie, che si chiami Vendola, Chiamparino o Bersani», ma non ci stiamo a «primarie raffazzonate». Terzo tiro: «Sono disposto ad allearmi anche con il diavolo (ma per un battito di ali di farfalla) per votare la sfiducia a Berlusconi».
La raffica verbosa di Tonino miete consensi; un sentore di populismo gravida l’aria, sorretto da enigmatici quanto ammiccanti «Capisci a me». E l’apogeo della politica del mal di pancia, perennemente in bilico tra lo Stato delle regole e la voglia di fracassare tutto e tutti. Per questo Tonino «acchiappa»: ormai confidente fiduciario (in partnership con Grillo) dell’Italia apatica, irrimediabilmente pessimista, gabbata dai partiti e impoverita dalla crisi, incapace di sintonizzarsi sui toni democratici di un confronto civile, adusa alla fanfara propagandistica e al mercato di voti delle ultime ore.

Nel clima di putrefazione che si percepisce, Di Pietro incarna il Berlusconi di sinistra. Gemelli diversi che aizzano le rispettive compagini agitando lo spettro dei pm comunisti o del V day. Lo sceriffo e il «piduista» si marcandosi da anni, dalle aule di tribunale a quelle istituzionali, passando per una proposta di Ministero ormai datata. I due si fiutano e si respingono come impone il rituale millenario del corteggiamento.