Dibattito serrato ieri sera tra Enrico Letta e Fausto Bertinotti, interlocutori nel primo incontro di Praxis della stagione 2010-2011. E la “P” è la lettera scelta questa volta dalla Scuola di politica e territorio di Amedeo Piva per individuare i temi che saranno affrontati nel corso dell’anno. “P” come Paese, come partecipazione e partito. Ma anche come precarietà.

Con questa traccia in mente Letta e Bertinotti hanno discusso argomenti all’ordine del giorno nell’agenda politica italiana, dialogando con Aldo Fabio Venditto, che ha proposto come spunto iniziale il tema del suo ultimo libro, intitolato significativamente Coltiviamo il cambiamento. Entrambi concordi sulla ormai definitiva scomparsa dei partiti tradizionali di derivazione novecentesca, Letta e Bertinotti hanno ragionato di leadership, forme di inclusione, identità chiuse e collettive, capacità di costruire la politica come narrazione.

Centrale su tutti il problema della definizione della “identità”, secondo Bertinotti una questione “non risolta” per il Pd, perché impossibile da affrontare, come il partito avrebbe scelto di fare, “puntando solo sul programma”. Diverso l’approccio di Letta, che ha rilanciato invece il tema delle “radici in aria”. Per uscire dalla logica, ormai superata dai fatti, di una identità di partito fondata sulla ideologia –il vero “difetto di base del discorso di Bertinotti” secondo il vice segretario del Pd- Letta ha risposto che l’identità “oggi si declina sul cosa vogliamo”. Solo in questo modo infatti, “è possibile immaginare di fare un tratto di strada anche con chi, secondo la logica delle radici per terra, sarebbe stato dall’altra parte”. Un’identità operativa, fondata sugli obiettivi condivisi insomma, più che su definizioni di appartenenza astratte e ad alto contenuto ideologico. Bertinotti ha rilanciato comunque la sua “identità comunista”, una qualifica che forse avrebbe meritato più di una parola di approfondimento, specie se rapportata allo scenario mondiale dell’economia ormai globalizzata.

Riflessione ampia anche sul tema caro a Vendola della politica come capacità di narrazione. “La narrazione crea l’identità che è essenziale per un partito. E poi c’è differenza tra narrazione e narrazione. Un conto sono le barzellette del presidente del Consiglio, un conto è un racconto di Cechov”, ha affermato Bertinotti. Questa capacità, nelle parole dell’ex presidente della Camera, rappresenterebbe in un partito la prerogativa fondamentale per formare un’identità collettiva – e quindi inclusiva e non esposta al rischio di integralismo- che nascerebbe proprio dall’insieme di “tanti bocconi di racconto”. Letta al contrario ha osservato che, tra le sfide importanti da sostenere, c’è anche quella alla “logica di chi pretende la politica come narrazione, ma preferisce quest’ultima alla politica”. Ha aggiunto quindi un esempio tratto dal suo vissuto personale, ricordando l’insegnamento del suo maestro, il grande Nino Andreatta, che era solito distinguere, ricorrendo al lessico inglese, tra poltics e policies. In Italia esiste infatti una sola parola, “politica”, per indicare due concetti radicalmente diversi: “perché la poltica-politics, cioè il teatrino, prescinde dalle politiche-policies”, le risposte di cui ha bisogno il Paese. E questo preferire la narrazione alle proposte concrete “è berlusconismo, che rende del tutto inutile la politica” ha concluso Letta.

Solo per ragioni di tempo è mancata ieri la consueta parte di dibattito estesa a tutti i partecipanti. La sala messa a disposizione dal Centro Astalli era gremita: non mancheranno occasioni per ritornare insieme sull’argomento.