Gli sguardi assorti. L’attenzione ferma sulle parole dei testimoni. Cosa possiamo fare. Possibile che sia davvero tutto qui?

La sala presidenziale della stazione Ostiense giovedì sera era piena. Di ragazzi, di donne, di rappresentanti delle associazioni. Piena di domande inespresse, le stesse che probabilmente accomunavano i presenti nella medesima incredula sospensione. Tutti i visi assorti, dinanzi ai racconti di Hossein e Dawood, i due ragazzi afghani che hanno condiviso la loro storia, rievocando il drammatico percorso che li ha condotti, attraverso un lungo viaggio, dalla loro terra fino a Roma.
Il primo incontro “operativo” della stagione 2010-2011 di Praxis si è svolto così. All’insegna dell’invito di Amedeo Piva ad uscire dalle case, “dagli scantinati”. Per cercare un contatto diretto, attivo, con la città e i suoi problemi. E gli afghani della stazione Ostiense hanno risposto.

Giovani soprattutto, con un regolare permesso di soggiorno, ma costretti a vivere in quelle grandi piazze della città che sono le stazioni. In attesa di trovare un ricovero più dignitoso, una sistemazione meno punitiva, magari un lavoro. Padre Giovanni La Manna del Centro Astalli ha raccontato l’odissea di questi migranti, spesso bambini, in fuga da guerre e persecuzioni ma ostaggi delle assurde disposizioni legislative dello Stato italiano, che riconosce il diritto di asilo, ma di fatto non garantisce il sostegno a chi bussa alle sue porte in cerca di protezione.

L’incubo delle parole. Dawood racconta di compagni affogati durante il viaggio, o di altri schiacciati dai camion sotto i quali ci si nasconde per affrontare, a caro prezzo, la tratta dalla Grecia verso l’Italia. E una volta giunti nel nostro Paese non è meglio, perché “se la storia finisce bene, ti danno questo benedetto permesso. Ma non risolvi niente, perché da un cartone sei partito, e su un cartone ti ritrovi”.

Sospensione, tuffo al cuore. È davvero tutto qui?

Qualcuno diceva una volta che quando la vita mura, l’intelligenza apre un varco. Trovando una strada, quasi sempre stretta, ma percorribile. E Padre Giovanni ha indicato la direzione. Non un risveglio impossibile in un mondo di fiaba, ma l’invito a “vivere con la coscienza sveglia e gli occhi aperti. Disposti a conoscere, incontrare e anche ad essere messi in crisi”.

Così nel freddo del piazzale Ostiense, tornando inquieti a casa, quelle parole hanno continuato ad agire. Nel buio, come il lievito. Diventando stimolo, speranza, azione.

Qualcuno degli amici ha già iniziato a discutere di proposte concrete. Spazi da utilizzare per l’accoglienza, misure per affrontare il problema della collocazione lavorativa dei giovani migranti.

E la speranza è ripartita. Come un treno da una stazione, in una sera di dicembre.