Mai dal dopoguerra l’Italia è stata così divisa e contrapposta. Non è solo una divisione politica, questa anzi è una conseguenza, è piuttosto una divisione esistenziale, filosofica ed ideologica, attinente alla percezione e alla decodifica dell’esserci.

Esistono oggi due Italie parallele: un’Italia-reale e un’Italia-fiction, che il caso Ruby ha drammaticamente fatto emergere. Ruby, che dichiara appunto di avere avuto l’ispirazione per questo bel nome da una fiction sudamericana, guarda caso. E nelle fiction tutto è facile, si realizza, si ingarbuglia però poi tutto va a lieto fine. Tutto è facile, perché finto, anche le lacrime, la disperazione, i problemi sono finti. Il berlusconismo in questo ventennio con l’uso sistematico delle TV ha costruito e rappresentato un’Italia finta, le sue TV hanno raccontato quotidianamente “favole” su cui sono cresciute intere generazioni. Non sono i misfatti veri o presunti di quest’uomo che più preoccupano, è l’ideologia che ha via via costruito e prodotto che è molto più grave e che gli sopravviverà anche dopo la sua –pur sempre tardiva- uscita di scena.

Così oggi questo solco tra realtà e finzione immobilizza, paralizza l’Italia. C’è l’Italia-reale fatta di gente che lavora, che tutte le mattine si alza presto e spesso va a letto anche presto per la stanchezza. C’è di contro un’Italia-fiction che vive soprattutto di notte, facendo festini, mirando al lusso e al facile guadagno. Ci sono ragazzi e ragazze che studiano e con fatica fanno esami per diplomarsi, laurearsi, cercarsi poi un lavoro adeguato, difficile da trovare, a volte lontano da casa, a volte all’estero e quasi mai in linea con la propria preparazione costata anni di sacrifici. C’è d’altra parte un’Italia dove si mira alla carriera immediata costi quel che costi, con scorciatoie spericolate sull’etica. Ci sono padri e madri che soffrono perché partecipano delle difficoltà dei propri figli/e quando fanno esami, quando fanno colloqui di lavoro. Ci sono padri e madri che soffrono perché la loro figlia non è colei che quella sera, quella notte è stata prescelta come preferita dal riccone di turno che la può riempire d’oro. C’è l’Italia della responsabilità e l’Italia dell’arroganza del potere, dove tutto è permesso, dove il senso di impunità è così consolidato a tal punto da chiamare direttamente una questura in piena notte per chiedere “informazioni”. Come se la richiesta di “informazioni” da parte dell’uomo più potente d’Italia non sia comunque una pressione a derogare dagli obblighi di legge. C’è l’Italia che non arriva a fine mese, che ha i mutui da pagare e l’Italia delle ragazzette impellicciate a vent’anni, tutte griffate con l’alloggio in comodato d’uso (in cambio del corpo in comodato d’uso). C’è l’Italia delle regole, del rispetto dell’altro e delle Istituzioni e l’Italia dove le regole e le istituzioni sono visti come inutili lacci e lacciuoli da tagliare.

Si potrebbe continuare all’infinito…

Mai come ora esistono due Italie parallele che come due rette non hanno e non avranno mai punti in comune. Questo parallelismo ben si rappresenta in politica con ormai una bipolarità sempre più profonda. Ma a questo punto il problema non è più Berlusconi, il vero problema è molto, ma molto più grave: è il berlusconismo. Se uno scandalo di tale portata non porta la gente in piazza in un sussulto di opposizione (come dall’estero si meravigliano e ci rimproverano), non sposta voti o li sposta solo limitatamente (-1,5% secondo gli ultimi sondaggi), e non riesce neanche a spostare quella parte degli elettori PDL più legata ai valori cristiani, il problema ormai è sociologico e antropologico, e riguarda un intero popolo, non un uomo. Non siamo all’emergenza democratica, ma all’emergenza antropologica e culturale di una nazione, ai valori che questa nazione rappresenta e condivide. Prima di riuscire a scalfire tale filosofia dell’ effimero e della fiction ci vorranno anni, siamo tutti intossicati quotidianamente, da venticinque anni e forse più da finte risse in TV tra finti “amici”, da culi e seni esibiti, da lustrini e pailettes, da giornalisti-servi imbavagliati, da tasse viste come punizione e quindi da evadere, dall’odio per il diverso, ecc ecc.

A questa emergenza antropologica bisogna rispondere a livello politico raggruppando tutte le forze politiche e culturali di opposizione. Si faccia un fronte comune, a termine, indicando tre o quattro obiettivi comuni (riforma elettorale, occupazione giovanile, ricerca e innovazione, redditi delle famiglie, per esempio) e si vada alle elezioni, uniti, senza tanti inutili distinguo. Poi le successive elezioni tutti liberi di dividersi e di riprendere la doverosa dialettica destra/sinistra in un’Italia finalmente normale.