Vi è mai capitato di sentire qualcuno di idee politiche dichiaratamente opposte alle vostre fare affermazioni in cui vi ritrovate pienamente? Paura, eh?!

La reazione tranquillizzante in questi casi è immediata. Di essere finiti noi dalla parte sbagliata non se ne parla. Al massimo si può accettare che il nostro interlocutore sia prossimo alla “conversione” o che sia persona dotata di buon senso, casualmente ritrovatasi dall’altra parte (osservazione che, ovviamente, anche lui avrà fatto riferendosi a noi).

Come non condividere -ad esempio- l’idea che è inaccettabile l’attuale durata media di un processo? O come non essere d’accordo con chi auspica che si creino le condizioni per un alleggerimento delle tasse e che ci sia una maggiore equità fiscale? Chi può essere contrario all’idea che è indispensabile razionalizzare la spesa e ridurre gli sprechi? O che -tanto per dire una cosa originale- bisogna farla finita con i “lacci e lacciuoli” che soffocano la libera iniziativa?

Il fatto è che le vere differenze politiche non stanno nelle finalità che ciascuna parte dichiara di perseguire, ma nel modo in cui intende farlo (e nel modo in cui poi lo fa effettivamente).

La politica non è fatta di “cosa”, è fatta di “come”.

E’ nel “come” si vogliono accorciare i tempi dei processi che si vede la differenza: anticipare i tempi delle prescrizioni o aumentare risorse e mezzi a disposizione delle procure?

Come” vogliamo raggiungere una maggiore equità fiscale? Applichiamo meglio il principio di proporzionalità delle aliquote? Perseguiamo con più efficacia l’evasione? Puntiamo sulla riduzione delle aliquote e l’ampliamento della base impositiva?

Come” vogliamo razionalizzare la spesa, ridurre gli sprechi e sciogliere i “lacci e lacciuoli”?

Ciascuna di queste cose si può fare in modi diversi ed è proprio su questa diversità di modi che dovrebbe giocarsi il confronto delle idee… e invece non è così. Perché a dire come vogliamo fare le cose si è costretti ad esporsi, ad entrare nel merito, a lasciar capire anche come non vogliamo farle… insomma si scoprono le carte, si rischia di perdere consenso. Meglio eludere il merito e il contenuto, meglio rifugiarsi nei tranquilli paradisi dei grandi valori (la pace nel mondo va bene per tutti, dal papa a miss Alaska), nelle innocue foreste dei grandi auspici, nella stucchevole stanza degli specchi delle accuse reciproche.

Alla fine tutti affermano di volere le stesse cose e l’unico modo con cui si cerca di dimostrare di essere diversi dagli altri è sostenere che gli altri non sono credibili, che dicono ma non fanno, che dicono una cosa e ne fanno un’altra… eludendo così ancora una volta il piano del merito spostando il discorso su quello impalpabile (e soggettivo) della credibilità.

Ma che politica è una politica che del come non vuole parlare mai, che proclama ma non sceglie, che preferisce sempre la pubblicità al prodotto?

C’è da stupirsi se in questo scenario di chiacchiere incomprensibili e proposte inverificabili il culo di Ruby diventa più importante della cassa integrazione?