Caro Amedeo,
uno con la capoccia come la mia non può non aver affrontato il problema “sx – dx”. Per giunta, definendomi cattolico democratico, sono partito da una posizione di supposto vantaggio. Al centro, infatti, non è che gliene freghi poi molto essere più o meno di destra o di sinistra.
Quando ci si schiera politicamente in un sistema “bipolare”, poi, se stai col “centro – sinistra” ti rode un po di più se ti dicono che sei di destra e ti rode un po di meno se ti dicono che sei di sinistra. Ma in politica bisogna trovare la discriminante. E a maggior ragione in democrazia. Occorre trovare l’elemento che distinguendo i “gruppi” tra di loro, li renda capaci di elaborare in modo omogeneo tesi politiche a miglior vantaggio possibile per la comunità. Se no non è politica. E questo non cambia e non deve cambiare. L’alternativa, a meno di sconvolgenti rivoluzioni scientifico tecnologiche di cui non sono al corrente, è il relativismo culturale e il caos anarcoide.
Allora ho sfoderato tutte le batterie di cui poteva essere provvista la mia povera cultura; ho rinverdito gli studi di economia politica e storia economica, ho risciacquato un po di Maritain, poi ho preso l’esperienza dei cattolici “centristi” e gli ho dato una bella spolverata. Da De Gasperi (1932, mi pare): “un partito di centro che guarda verso sinistra” fino al centrosinistra del “libro dei sogni” di Fanfani e ancora oltre fino ad Aldo Moro. Se leviamo di mezzo Andreotti, i dorotei, Forlani e De Mita, rimane sempre qualche cosa di bello e di nuovo tutto sommato. Rimane pure soltanto un quindici % di voti tendenziali ma credo che se noialtri all’interno del PD fossimo all’altezza di fare quel pieno non ci dovremmo nemmeno lamentare.
Ma, scendendo nel pratico, forse t’interesserà sapere che cosa n’é uscito da questa povera e farraginosa cavalcata. Te lo dico brevemente: secondo me (un’opinione piccola piccola, dunque) la discriminante non si gioca su quello che i due pretesi schieramenti hanno vissuto nel passato. Siamo tutti un po smithiani e altrettanto marxisti. In questa civiltà occidentale che fatica a maturare un ulteriore passaggio della propria democrazia non c’è nessuno che sia contento di dover rinunciare alla pensione e tutti quanti nutriamo una forte sensibilità contro il lavoro minorile. Queste sono cose che prima di Marx non le aveva dette nessuno. E’ lui che ha scritto della necessità di dare una pensione di anzianità lavorativa, e della non minore urgenza di non far lavorare i minori, sul Manifesto del Partito Comunista. Al contempo è così per quanto riguarda il mercato teorizzato dal padre del liberismo economico; e i dritti che prima dicono che il mercato deve essere libero e poi chiedono dazi e sanzioni verso chi li mette in pericolo ci sono sempre stati e proprio in mezzo
ai liberali. Certo, non posso non restare inorridito di fronte alle teorie di chi, membro del nostro governo, afferma che “è il mercato che tiene la democrazia”. In questo senso sto sempre con De Gasperi ed i suoi migliori epigoni; penso cioè che la dignità umana sia il valore che tutti dobbiamo servire e realizzare dentro noi stessi e per gli altri. Forse questo confine del passato resiste ancora come “parvo” fossile vivente. Ma la vera discriminante si gioca sullo scenario sociale che dobbiamo contribuire a disegnare stando in politica. Il guaio è proprio questo: i due schieramenti stanno fermi su posizioni poco consistenti e, appunto, a tratti scarsamente distinguibili; e nessuno dei “due contendenti” inizia a correre in avanti per dire: “La nuova società che tutti attendono dovrà essere così e noi faremo di tutto per farla venire così”.
Mi sembra che la politica non funzioni come la briscola. Lì, quando hai buttato la carta per primo, devi aspettare quello che fa l’avversario per sapere se hai vinto o perso la “presa”. In politica, almeno secondo me, quando riesci a giocare per primo la tua carta hai già vinto un po di più rispetto all’avversario. Sbrighiamoci a riflettere su qual è la carta che dobbiamo mettere in tavola. Gli altri sono ancora fermi; forse più fermi di noi.
Forse facciamo ancora in tempo a vincere.