L’Italia ha già vissuto momenti come questi, con migliaia di disperati che sbarcano sulla nostre coste in modo deflagrante. Oggi, quattromila tunisini in quattro giorni a Lampedusa. Nel solo marzo 1991 sbarcarono 25 mila albanesi e altri 20 mila in agosto, tra Bari e Brindisi. Ogni volta sembra essere la prima e viene vista come “esodo biblico”. Per poi dimenticarla, appena finita la fase emergenziale, senza mai farne tesoro per attrezzarci e studiare come affrontare con gli altri paesi europei queste periodiche emergenze. Sia i pattugliamenti nel canale di Sicilia oggi, che le operazioni di interdizione di migranti nel mare Adriatico allora, pur necessari, non hanno potuto nulla.

Eppure, l’Italia non può accogliere immigrati senza limite. L’accoglienza va esercitata al massimo, senza chiusure xenofobe e senza ingannevoli paure perché è diventata una componente ineluttabile della nostra epoca, a meno di aprire conflitti da cui usciremmo comunque perdenti. Ma  deve trattarsi del massimo possibile. E’ difficile definire questo limite, dato che tenderà inevitabilmente ad alzarsi, ma superarlo può divenire preoccupante, se non allarmante.

Il Governo ha accolto i profughi tunisini. Non li ha respinti. Un doveroso gesto di umanità e civiltà apprezzabile. Decretando lo stato di emergenza, ha potuto avviare interventi speciali per fornire immediata ospitalità e assistenza umanitaria. Altre migliaia potranno arrivare nei prossimi giorni e settimane. L’imperativo umanitario dovrà, in ogni caso e senza indugio, continuare a guidare le decisioni del Governo. Centri di prima accoglienza, strutture religiose, alberghi, residence, ma anche tendopoli attrezzate come quelle della Protezione civile: alla sistemazione va abbinato il rapporto umano e la comprensione della realtà dei singoli casi.

Anche guardando al nostro futuro e alle indispensabili relazioni con la sponda sud del Mediterraneo, mostrare oggi attenzione e solidarietà non potrà che aiutare il positivo sviluppo dei rapporti politici e economici e il rafforzamento dei legami di amicizia e cooperazione, a convenienza reciproca.

Ma chi sono questi profughi? Perché lasciano la Tunisia e quale status va loro riconosciuto? Quanto dovrà durare l’accoglienza? Fuggono per necessità, paura, ostilità, persecuzione o per cercare lavoro e realizzare un sogno rimasto finora compresso, approfittando del vuoto politico? Sarà compito delle istituzioni effettuare gli accertamenti e le necessarie verifiche. Perché, finita la fase dell’emergenza che dovrà garantire a tutti accoglienza e protezione, diverso sarà lo status e quindi il trattamento che dovrà essere assicurato ai richiedenti asilo, protezione sussidiaria o tutela umanitaria, rispetto agli altri. Se per i primi dovere etico e norme internazionali impongono particolare attenzione e apertura, per gli ultimi, insieme alle possibili opportunità, scatteranno forzatamente vincoli e limiti legati alla situazione sociale e economica.

E’ ora però che, superando slogan demagogici, bassa politica e talvolta ignoranza xenofoba, si affronti la realtà, a livello italiano ed europeo, per quella che è. Sono già stati persi molti anni preziosi. Non perdiamone altri: lasceremmo ai più giovani un problema che può diventare ingestibile e perenne fonte di conflitto.

L’equilibrata integrazione, con doveri ma anche con tutti i diritti che la favoriscono, rimane il punto centrale, da cui partire per affrontare tutti gli altri. Può rappresentare infatti la bussola per saperci orientare nelle decisioni da assumere, oggi e per il futuro. L’inevitabile trasformazione delle nostre società va guidata e governata, anche culturalmente; non deve avvenire a caso o con un contrasto bieco e del tutto inefficace.

E’ indubbio che dovrà essere ampliato il controllo intelligente dei mari, così come è stato fatto dall’Italia nell’Adriatico dopo le mortali forzature degli anni ‘90. Occorre però un convincimento e un deciso impegno di tutta l’UE. Il rafforzamento di Frontex, la struttura europea di vigilanza sulla frontiera mediterranea, dipende infatti dai singoli Stati membri, dato il carattere volontario della contribuzione a tale struttura.

Anche la revisione dell’Accordo di Dublino sulla concessione dell’asilo, che oggi pesa sui paesi di primo arrivo quali l’Italia, e il rafforzamento dell’Easo, l’Ufficio europeo di supporto per l’asilo, sono indispensabili per arrivare ad una gestione comune del diritto dei rifugiati all’accoglienza e alla protezione.

Il punto fondamentale rimane però quello relativo alla crescita, economica, sociale e culturale dei paesi della sponda Sud. Fino a quando il divario tra le due sponde del Mediterraneo rimane ampio, la spinta attrattiva dell’Europa non potrà attenuarsi e a nulla potranno le misure di sicurezza. Chiusa una via, un’altra sarà aperta: la disperazione riesce a superare barriere di ogni tipo. Forti aiuti per la crescita economica e la riduzione delle tensioni sociali, l’educazione, la formazione, le opportunità di lavoro, sono gli strumenti che andrebbero messi in atto da subito per il Mediterraneo, abbinandoli a politiche commerciali coerenti con questi obiettivi. Avranno un costo, certo, ma non farlo porterà inevitabilmente a costi ben superiori.

E’ un compito che l’Europa, nel suo insieme, deve assumere, ripensando e riqualificando il proprio rapporto con la sponda sud, purtroppo irresponsabilmente negletto dopo il naufragio del processo di Barcellona e dell’Unione per il Mediterraneo. Si tratta di una decisione politica che non dipenderà solo né dall’Alto Rappresentante Ashton né dal presidente Barroso: spetta ai Governi dei 27 paesi UE assumere le proprie responsabilità, pensando al bene comune dell’Europa e decidendo conseguentemente.

Anche l’Italia deve però fare la sua parte, con politiche integrate e coerenti, quale paese che potrebbe prioritariamente trarre benefici dallo sviluppo equilibrato dell’area. Quanto sarebbe più credibile la sua voce se gli impegni finanziari italiani per la cooperazione allo sviluppo fossero pari allo 0,56% del PIL, come fissato dall’UE per il 2010, invece dell’ormai stabile misero 0,13%, che diminuisce di anno in anno. “Aiutiamoli a casa loro”, ripetono spesso i politici. Spesso, chi lo afferma non dimostra di rendersi conto del significato e degli impegni che tali parole comportano.

La mancanza di visione politica e strategica, l’assenza di uno sguardo lungimirante e un programma di investimenti per il futuro sostenibile di tutta l’area del Mediterraneo, a reciproco beneficio, non possono che peggiorare la situazione. Riuscirà l’esodo di migliaia di tunisini, e domani forse di egiziani, a darci la scossa necessaria per farci uscire dal debilitante torpore?