L’agone mediatico ci offre quotidianamente così tanti esempi altamente creativi di politici, avvocati, giornalisti a difesa di questa o quella tesi, di questa o quella lettura di comportamenti, veri o presunti, da indurci  a qualche ragionamento su retorica e buona fede.

La retorica è la scienza che studia le modalità e le regole per costruire un discorso persuasivo; utilizzando le ambiguità del linguaggio, diventa uno strumento potente nelle mani di chi la possiede, per sostenere le sue tesi e le sue interpretazioni dei fatti; richiede pertanto un codice etico per essere esercitata senza arrecare danni.

In questi anni di polarizzazione estrema delle posizioni- accentuata dalla forza di attrazione di leader più o meno carismatici, piuttosto che da quella che in passato esercitavano le ideologie e le organizzazioni- abbiamo assistito ad un profluvio di esercitazioni retoriche, che hanno contribuito a confondere e destrutturare quella base minima condivisa di principi , vissuti e comportamenti su cui poggia una comunità integrata e coesa.

La riflessione è dettata da alcune affermazioni ed argomentazioni- ma non solo queste – che si sono lette e ascoltate in questi giorni a proposito delle note vicende di alcune signorine, aspiranti ad una rapida e ben remunerata carriera nell’ambito dello spettacolo o in quello politico. Le tesi sostenute da brillanti retori sono state: siamo in un ordinamento liberale e se una persona intende trarre vantaggio, pecuniario o di altro genere, dai doni di cui madre natura l’ha dotata, dov’è il problema? E dov’è il problema se chi dispone di potere e ricchezza coglie questa opportunità di mercato per ritemprarsi delle fatiche e delle preoccupazioni quotidiane? Dov’è il problema se tali transazioni sono agite nel privato da chi ricopre un ruolo pubblico della massima responsabilità? Vogliamo mettere in discussione i principi liberali su cui è costruito il nostro ordinamento?

E alle donne, che protestano in difesa della loro dignità, contro la mercificazione della loro immagine e in nome del rispetto di giuste regole concorrenziali nell’accesso al lavoro, alle professioni e all’impegno in politica, si rinfacciano le battaglie per l’emancipazione e la libertà sessuale! Ma chi, in possesso di una minima capacità di discernimento, non capisce la differenza tra libertà sessuale e prostituzione, che peraltro preesisteva di qualche secolo al movimento di liberazione della donna?

Vogliamo sfogliare il dizionario? Prostituzione è il commercio di prestazioni sessuali; ma troviamo anche un suo significato estensivo: è svilimento dei valori, di attività intellettuali che vengono subordinate a interessi materiali. Ora, chiaramente, la prostituzione, sia fisica che morale, se non c’è sfruttamento e/o coinvolgimento di minori, non rappresenta un reato, ma certo tale è e come tale va letta nelle specifiche situazioni.

Le libertà individuali sono una grande e imprescindibile conquista dei nostri sistemi democratici, ma devono trovare e trovano un giusto contemperamento nelle norme dell’ordinamento giuridico che tutelano l’interesse comune e le situazioni dei soggetti più deboli; e devono trovare anche una giusta declinazione alla luce di quel portato storico, culturale e spirituale che rappresenta le radici di un popolo.

Dobbiamo riscoprirle queste radici, riconoscerle e rinominarle ramo per ramo, perché in questi nostri anni sono state spesso mutilate, interrate e recise; ma sono le radici che tengono salda la pianta della nostra società e solo attraverso di esse la pianta può nutrirsi e svilupparsi. Facciamo insieme un elenco: libertà individuale sì, ma anche coscienza e responsabilità personale, solidarietà, pari opportunità, merito, bene comune……e cerchiamo di condividerlo. Avremo uno strumento in più per difenderci dalle esercitazioni retoriche.