La libertà non è una parola che se ne sta ferma dentro un elenco di diritti. Tracima, non si rinchiude in questo o in quel traguardo.
Il Diritto ad aspirare a una vita migliore, è questo che chiedono le migliaia di persone che ogni giorno approdano sulle nostre coste.
È il diritto che oggi, dopo anni di silenzio, si urla a squarciagola e costa care vite nella sponda opposta del Mediterraneo.
Il nostro governo ha largamente approvato una politica di chiusura, una chiusura che fa a pugni con la sempre più alta interconnessione, in conseguenza di una selvaggia e anarchica globalizzazione che ha coinvolto il mondo intero.
Il 6 febbraio a Goree il Forum Internazionale dei migranti ha prodotto “Una Carta per un Mondo senza Muri”, prodotta dai migranti stessi per dire basta alla mercificazione delle persone, per un mondo senza frontiere e senza muri.
Mentre succede questo, in Italia si dichiara il reato di clandestinità, il quale è assolutamente conforme ai principi base della legge 189/02, la cosiddetta “Bossi-Fini”, per la quale l’immigrato è privato della sua persona e incarna il semplice ruolo di forza lavoro, limitando o impedendo la sua integrazione nella nostra società in nome dell’identità nazionale.
In seguito a questo, vediamo il mancato impegno a realizzare un adeguato quadro legislativo in grado di pensare all’immigrazione come a un fenomeno stabile che costruisce il suo domani e quello delle generazioni future qui nel nostro paese. Sì, nel nostro paese! Perché per noi “di seconda generazione”, o meglio, per noi “Nuovi Italiani”, l’Italia è il nostro paese!
Gli ostacoli per una piena appartenenza sono tanti, come il mancato riconoscimento della cittadinanza alla nascita (ius soli), le complicazioni burocratiche per la richiesta di questa, dopo dieci anni di regolare residenza nel nostro paese, la recente richiesta di conoscenza della lingua italiana, da certificare mediante un “test”, in cui lo straniero è un vero autodidatta. Per non parlare della continua rincorsa a trovare un posto di lavoro e dimostrare di condurre una vita da cittadino modello, per potersi tenere stretti tutti i punti di quel caro permesso di soggiorno.
Voler preservare l’identità nazionale attraverso l’esclusione dell’altro significa non voler ammettere lo sviluppo di una società sempre più multietnica e bisognosa di tutele e ascolto.
Le risposte a questi bisogni si ritrovano nella società civile che diventa la protagonista di una battaglia in cui il governo rifiuta le richieste dei migranti: quella di diventare cittadini a tutti gli effetti!
Il 1° marzo vuole essere proprio questo; vuole dare voce a quella parte di cittadini ai quali non vengono riconosciuti i propri diritti, ma ai quali sono continuamente rammentati i propri doveri e che quindi sono cittadini solo per metà.
“24 ore senza di Noi”, un giorno per comprendere l’importanza e il significativo contributo che più di 4 milioni di persone ogni giorno arrecano al nostro Paese su tutti i fronti. Quindi non solo come forza lavoro, ma anche come risorse intellettuali. Non è infatti da sottovalutare il respiro internazionale che questi conferiscono alla nostra realtà sociale, permettendo un scambio culturale e un ampliamento del raggio dei punti di vista.
La giornata del primo marzo è un eco nazionale ed internazionale per dire no alla contrapposizione “tra noi e loro”; alla politiche di esclusione e discriminatorie; ai C.I.E considerati incompatibili con i diritti umani, inutile e mal gestiti.
Il primo marzo dice sì la diritto di voto amministrativo, che non può più essere differito e sì al diritto di cittadinanza.
Con gli immigrati per gli immigrati e per tutti quegli italiani che in un modo o in un altro si sentono immigrati!