Così Susanna Camusso nell’intervista rilasciata lo scorso 15 febbraio al direttore dell’Unità, Concita De Gregorio: “Parliamo delle retribuzioni delle donne, di lavoro povero e invisibile, parliamo di conflitti in tema di maternità, di precarietà. È una linea che ci porta dritti al grande tema che abbiamo di fronte: non considerare la famiglia il fondamento della società, ma la persona. Perché finché la famiglia sarà al centro i diritti delle donne saranno subordinati a quello che si vuole sia il loro ruolo dentro le famiglie”.

  Nell’insieme dell’intervista alla Camusso e, in particolare in alcune sue parti, specialmente quella che chiama in causa la problematica complessa della famiglia, si nota un condizionamento di visione, considerato che i contratti di lavoro sono sempre stipulati, in ultima analisi, a favore di un individuo.

In prima approssimazione, “non considerare la famiglia il fondamento della società, ma la persona”, suggerisce almeno le seguenti considerazioni:

 

–         aver utilizzato il termine “persona” e non “individuo” è comunque positivo, perché sottintende, in senso generale, forme di relazionalità;

–         l’impostazione della Camusso si basa sugli aspetti di crisi della famiglia: bassa fecondità, (in Italia, al di sotto del 50% per avere il rimpiazzo generazionale), crescenti separazioni, divorzi, convivenze … con quel che segue anche per quanto riguarda i figli. In questa prospettiva, l’unico riferimento non può che essere la singola persona;

–         il grave errore della politica, in Italia, in tutte le sue articolazioni, anche nel campo del lavoro, per non parlare di quello fiscale e delle politiche sociali, è proprio quello, a mio avviso, di contribuire ad indebolire la famiglia in modo significativo, ignorandola come interlocutore, soggetto di diritti suoi propri (cfr. Costituzione, Art. 29 e sgg.), in quanto istituzione sociale di base e, invece, strumentalizzandola come ammortizzatore sociale, (per anziani, giovani disoccupati, disabili etc.) ;

–         la politica deve quindi ripartire proprio dalla famiglia, con seri provvedimenti concreti e non a parole, ideologicamente strumentali (cfr. Family day), ai fini dell’acquisizione del consenso;

–         la politica di conciliazione non può prescindere dal prendere in considerazione anche l’uomo, come avviene nelle politiche di conciliazione che l’Unione Europea porta avanti da anni, con una serie di interventi normativi di diversa intensità, ma anche non normativi, collegati con la individuazione/valutazione di “buone pratiche”. Ma ciò non basta, è necessario considerare anche la famiglia nel suo insieme, in quanto interlocutore attivo, per una solidale condivisione di responsabilità di tutti i suoi membri;

–         infine, considerare la “persona” in modo isolato, significa rendere ancora più liquido il tessuto sociale di base, la cui struttura è costituita, costruita dalle famiglie, biograficamente intese, una accanto all’altra, nel territorio, in quanto primo gruppo umano organizzato della società, al di là del quale non è possibile rilevare organizzazione sociale primaria. Ciò è storicamente/empiricamente, verificato anche sulla base delle analisi offerte dalla antropologia archeologica, fin da quando l’essere umano, lasciando tracce di sé, è entrato nella storia.