“La ricetta della Lega Nord per affrontare il problema immigrazione –così oggi il ministro Calderoli in una dichiarazione pubblicata sul Corsera- si può sintetizzare in tre punti: aiutiamoli a casa loro, svuotiamo la vasca e chiudiamo un rubinetto che, purtroppo, ancora sgocciola”.

Impossibile non notare la finezza della metafora idraulica e la felicità nella scelta degli avverbi, comunque già un bel passo avanti rispetto al più conciso “Fora dai ball” dell’Umberto nazionale.

Dobbiamo rassegnarci insomma a sentir parlare così del dramma vissuto dalle decine di migliaia di persone che in questi giorni stanno cercando lungo la difficile rotta per l’Italia un’occasione di sopravvivenza?

Nient’affatto. A Riace, provincia di Reggio Calabria, gli immigrati non sono un problema da risolvere, come forse pensa Calderoli, “con una ricetta”. Sono una risorsa semmai, per ridare ossigeno alle terre di una regione bella  quanto aspra, svuotate nel secolo scorso a causa di un altro genere di migranti: questa volta italiani, che partivano in cerca di fortuna verso l’Australia, il Canada, l’Argentina.

Nel 1998 persone lungimiranti come il futuro sindaco della piccola città, Mimmo Lucano, iniziarono infatti un’opera  di accoglienza intelligente, ospitando e offrendo alloggi a circa 300 profughi curdi. È nato così il “progetto Riace” che, come ha spiegato lo stesso sindaco, ha aiutato la comunità, grazie all’arrivo di nuovi abitanti, “a vincere l’apatia, spingendoci a recuperare il patrimonio immobiliare da utilizzare per il turismo più sensibile e a riprendere le attività artigianali abbandonate”.

Oggi esiste così il Riace Village, un vero e proprio abitato eco-sostenibile che accoglie migranti provenienti dalla Somalia, dall’Eritrea, dall’Africa equatoriale. E naturalmente dai paesi del Maghreb. Persone che vivono in pace con la comunità locale, con il merito di restituire slancio e colore alle case della città, altrimenti chiuse, come troppo spesso accade in tanti centri del Paese in spopolamento. Una nuova vita quindi, nel rispetto delle tradizioni locali, perché i migranti sono diventati protagonisti della riscoperta degli antichi mestieri tradizionali, evitati invece, come ci insegnano anche gli ultimi rapporti di Confartigianato, dai giovani italiani.

Ma l’inganno dov’è? Se tutto sembra così roseo, esisterà sicuramente una ragione per cui il nostro governo ha deciso di non favorire la moltiplicazione nel Paese dell’effetto Riace. Questo genere di accoglienza avrà forse un costo tremendo per la comunità? Sbagliato. 

Il Comune di Riace fa parte fin dall’inizio del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) e ha aderito al bando del ministero dell’Interno per la presa in carico dei migranti in attesa dello status di rifugiato e in via di identificazione. In tutto 230 tra rifugiati e richiedenti asilo, a fronte di una comunità originaria di 1.800 abitanti.

L’amministrazione locale riceve per questo circa 20 euro al giorno a persona. Mentre il costo per mantenere un poveretto recluso in uno dei centri  di identificazione e di espulsione è di circa 60-70 euro giornalieri.

E in attesa di ricevere i finanziamenti pubblici, il sindaco Lucano non perde tempo. L’amministrazione locale distribuisce infatti ai nuovi cittadini cartamoneta “coniata” dal comune stesso, una sorta di ticket-restaurant accettato dai negozianti, per consentire ai nuovi arrivati di sostenere le prime spese quotidiane. Sulle banconote, Martin Luther King, Peppino Impastato, Gandhi.

Utopisti, sognatori inconcludenti o forse solo persone che hanno creduto che il mondo potesse essere un posto un po’ meno feroce? A Riace, il sindaco e i suoi concittadini non hanno avuto dubbi. E i fatti hanno dato loro ragione: invece di un cumulo di case con le porte sbarrate, oggi la piccola città è tornata a essere un comune vivace, popolato. E molto attivo.