Dopo il “balletto imbarazzante” (la definizione è del presidente degli industriali, Emma Marcegaglia) che ne ha accompagnato l’iter accidentato di approvazione, da ieri la manovra è legge.

Domani sapremo se Moody’s, e a breve le altre agenzie di rating, avranno giudicato le correzioni apportate al testo del decreto sufficienti a salvarci da un declassamento del giudizio sulla tenuta del debito.

Non festeggiano intanto i rappresentanti degli enti locali: il sindaco Alemanno ieri si è messo addirittura a distribuire volantini in via Petroselli per protestare contro i tagli comportati dalla manovra – approvata dal suo Governo – ai danni di Roma Capitale (- 460 milioni di euro). Non sono felici neppure le famiglie (tartassate in vario modo, dall’ormai imminente aumento dell’Iva ai tagli sulla scuola, assistenza ai disabili ecc.).

Ecco allora che diventa davvero essenziale rilanciare una misura che, ne siamo certi, salverà le meravigliose sorti e progressive del nostro malandato Paese. Interventi efficaci per rendere finalmente competitive le imprese italiane, liberandole da burocrazia e corporazioni o forse l’approvazione di una nuova, invocatissima riforma organica del mercato del lavoro?

Niente di tutto questo. Stiamo parlando della proposta, davvero sistemica e sismica, capace di farci guadagnare il pareggio di bilancio assai prima del tanto paventato 2013. Ci riferiamo naturalmente a una questione “da porre in maniera ultimativa” – come ha suggerito recentemente in una lettera ai capigruppo del Pd di Senato e Camera  l’ex segretario e leader del MoDem Walter Veltroni: il “dimezzamento immediato del numero dei parlamentari”.

Secondo un piccolo conto che ci siamo fatti, ciascuno dei 945 parlamentari italiani costa attualmente alle tasche di ogni abitante del Paese circa 2 euro e 24 centesimi l’anno. Possiamo consolarci però: questa volta in Europa c’è chi fa peggio di noi. La progreditissima Danimarca ad esempio, dove i 179 parlamentari comportano una spesa annua per cittadino di 2 euro e 26 centesimi o in Austria dove, udite udite, ciascuno dei 386 parlamentari costa lo sproposito di 4 euro e 90 centesimi l’anno per abitante.

Vogliamo parlare seriamente? Davvero un parlamento dimezzato nei numeri ci consentirebbe, come sostiene sempre Veltroni (Repubblica, 6 agosto 2011) di dare “un segnale verso una democrazia che decide, più capace di rispondere alla velocità della società e dei mercati”? O il problema non risiede forse anche nel meccanismo con cui questi delegati sono scelti  o meglio – dall’entrata in vigore del beneamato “Porcellum”- non scelti dagli elettori? Non è un segreto che con le liste bloccate l’elezione dei parlamentari dipenda in via pressoché esclusiva dalla volontà e dalle decisioni delle segreterie dei partiti. E che questo odioso meccanismo abbia definitivamente spezzato il legame tra  rappresentante e territorio.

Se anche arrivassimo a dimezzare il numero dei deputati, ma alla Camera e al Senato continuassero a sedere comunque personaggi della statura politica – che so – dell’ottimo Scilipoti, siamo sicuri che il Paese sarebbe governato meglio?

Portiamo allora fino alle estreme conseguenze la sfiducia nei confronti del concetto di democrazia rappresentativa e facciamo nostre, esasperandole, le parole pronunciate poco prima dell’approvazione della manovra dall’ex ad di Unicredit Alessandro Profumo (Corsera, 4 settembre 2011): “penso che sia difficile fare un’operazione fiscale forte con uno sfondo elettorale: una fase intermedia sarebbe opportuna. Un governo di parte (NdR:  cioè espressione della volontà degli elettori) non vorrebbe la responsabilità di una manovra da 300 o 400 miliardi”.  

Continuiamo così, ad autosospenderci per un giorno e a parlarci addosso con proposte strampalate. Tanto nessuno si prenderà la briga di falsificare le troppe chiacchiere che vengono sparse al vento (mentre, come ci ricorda l’amico Felice Celato, lo spread tra Bund e Btp continua la sua corsa).