L’indignazione è un sentimento prezioso.
È stata spesso la forza che ha reso possibile importanti cambiamenti, e anche nella storia personale di ciascuno di noi possiamo certamente rintracciare situazioni in cui -davvero indignati- siamo stati capaci di dire “basta” per poi rimboccarci maniche e cervello e “venirne fuori”.
C’è un solo modo per rendere sterile l’indignazione e sprecare tutto il suo potenziale: limitarsi a gridarla al vento.
Nessun “basta!” ha mai cambiato niente se non è sfociato in una proposta percorribile, se non è riuscito a indicare un traguardo concreto, ragionevole e ragionato.
Ma -si dirà- “quando è troppo, è troppo”: ci vogliamo negare il diritto di gridare la nostra rabbia? Vogliamo mettere a tacere l’indignazione (per carità “sacrosanta”, l’ha detto anche Draghi) e non urlarla, condividerla, raccontarla?
Ovviamente no! Non si tratta di metterla a tacere, al contrario di metterla a frutto, di renderla utilizzabile per produrre un cambiamento.
Se invece quello che vogliamo è solo l’urlo liberatorio, allora nessun problema: è una terapia di gruppo. Può certamente servire a sentirsi meglio: un paio d’ore, poi tutto torna come prima.
La definizione più giusta che ho mai trovato di “potere” è “la possibilità di produrre o inibire il cambiamento”. In questo senso l’indignazione può essere un potere o non esserlo affatto ed è facilissimo capirlo: se produce un cambiamento lo è, se non produce alcun cambiamento è inutile.
Quando ero al liceo ricordo che prendevamo in giro un amico per i suoi discorsi tanto appassionati quanto inconcludenti dicendo: “scusatelo, era assente quando hanno spiegato la differenza tra astratto e concreto…”.
Oltre ad “astratto-concreto”, credo ci siano altre coppie di opposti da tenere sotto controllo in questo periodo con particolare attenzione. Ad esempio le coppie “comprensibile-utile” e “protesta-proposta”. La rabbia è a volte comprensibile, non sempre è utile. La protesta è spesso fondata e ragionevole ma non per questo produce automaticamente il cambiamento che auspica.
Forse la vera sfida di questo periodo che stiamo vivendo è proprio riuscire a trasformare ciò che è comprensibile in una proposta percorribile e la frustrazione generalizzata in un progetto politico concreto.
Se la strada è tracciata e i binari posati, allora sì che l’indignazione può essere prezioso combustibile per la caldaia della locomotiva, ma prima di posare i binari lanciare la locomotiva non è una buona idea.
Quale che sia il livello che oggi segna l’indignometro, dobbiamo scegliere se fare la terapia dell’urlo o rimboccarci maniche e cervello (direi il cervello prima delle maniche).