Quando le diversità si scontrano, nasce la guerra. Quando s’incontrano nasce il pluralismo. E questa è la meta della nostra civiltà. E il crollo dell’individualismo come modulo ideologico sta proprio in questo. Chi si sente di affermarsi da “solo” considera tendenzialmente gli altri esseri come concorrenti sul territorio. Chi sente al contrario il vero bisogno di approfondire la propria coscienza di sé vede invece nell’altro un arricchimento o addirittura un compimento del proprio sé stesso.

Ci angosciamo per la sparizione delle specie animali o vegetali perché con l’assottigliamento della  diversità biologica finiscono le risorse naturali. Tutto infatti al mondo, viene prodotto tramite i meccanismi che stanno dentro a quello che oggi si chiama “biodiversità”. Allora, in questo preciso momento, compiamo un atto di coraggio! Assumiamo a parametro ideologico la diversità. Organizziamo la diversità. Coordiniamo le diversità. Questo fa la natura e, in condizioni normali, dovrebbe quindi poterlo e saperlo fare anche la natura umana. Lo strumento politico esiste già da molto tempo, com’è nelle cose della natura. Si chiama, come detto all’inizio, pluralismo. Si, è vero, abbiamo talmente stropicciato e cincischiato questo concetto da farlo diventare l’ancora di salvezza di qualunquisti disperati o, addirittura, d’imbonitori poco onesti. Però, pensiamoci, è uno strumento vero perché è ciò che utilizza la natura che ci ha fatti campare decine di millenni e anche più se pensiamo agli “antenati”.

La natura organizza la diversità; premia la varietà. E se qualche volta “omologa”, è attenta a far nascere miriadi di eccezioni rispetto a ciò che sembrava essere assoluto. Facciamo allora un gioco: mentre gli altri si accapigliano sui resti di quello che è stato, per salvare il pochissimo del salvabile, per appropriarsi della cassa del reggimento, per prendersi la corona di un regno che non esiste più, alcuni di noi prenderanno carta e penna e scriveranno quello che secondo loro, a loro modestissimo parere come si diceva una volta, potrebbe essere il futuro.

E cos’è, per dire, un futuro pluralista? È un tempo in cui, per esempio, possono prosperare insieme la “grande dimensione” e la “piccola dimensione”; un tempo in cui le religioni possono definirsi (nessun vescovo mi scomunichi per favore) sincere l’una di fronte all’altra quando ricerchino sinceramente la dimensione spirituale. Posso dispiacermi se la mia fede non viene abbracciata perché essa è realmente verità ma non ho nessun diritto di cacciare qualcuno perché non ha le mie stesse convinzioni. Il futuro pluralista è un tempo in cui ci si diverte a organizzare e a promuovere quanto di meglio nasce dalle varietà che la razza umana propone in tutte le proprie espressioni. Una volta poteva essere soltanto l’elisir del dottor dulcamara di turno. Oggi quello che trent’anni fa si faceva con sedici ore di lavoro lo si fa con un terzo del tempo. Quello che progettavano macchine contenute in interi caseggiati può essere svolto, e ancora meglio, con strumenti che stanno nel palmo della mano di un bambino. In Italia, per dirne un’altra a caso, si potrebbe lavorare a livello di autonomie locali, per far nascere distretti imprenditoriali misti tra vere tipicità produttive e fonti innovative (come da qualche parte è già in atto) che operino nella piccola dimensione ma posti in rete tra loro; questo tenendo presente che, ma forse mi sbaglio, in Italia abbiamo perso il senso della storia e dobbiamo recuperarlo in fretta: il “grande”, tanto agognato dai soloni economisti e politici, nasce soltanto se è forte e coesa la presenza dei “piccoli”.

Ma questo è soltanto un piccolo saggio e deve finire qui. Spero tanto che su questa tematica possa nascere un ragionamento condiviso e condivisibile.