Da molti anni sono un attento lettore di Giuseppe De Rita ed un estimatore ammirato del modo, lucido e ad un tempo pietoso, con cui guarda alle vicende del nostro Paese, con scorci di intuizioni talora forse un po’ visionarie ma sempre confortate da un ricco patrimonio di evidenze e da analisi quantitative accurate ed affidabili (come possono esserlo le indagini sociologiche).

Anche questo suo nuovo libro L’eclissi della borghesia, Laterza, 2011 (scritto in collaborazione con Antonio Galdo) non mi ha deluso.

L’evidente eclissi della borghesia italiana ( qui la borghesia è intesa non nel senso in cui la intendevano i vetero social-comunisti ma come la classe sociale con una funzione politica, come l’ avanguardia che produce movimento, mobilità, sviluppo e che vive il senso di una responsabilità collettiva; in altri termini come l’ossatura della classe dirigente di un Paese) viene analizzata brevemente nelle sue dinamiche storiche e nelle sue conseguenze sociologiche e politiche.

A questa eclissi ha corrisposto l’impoverimento della vita politica italiana e l’arroccamento dell’humus naturale della borghesia nel “presentismo” di una “cetomedizzazione” abdicativa e pavida del futuro, fatta di derive corporative e familistiche, localistiche ed isolazioniste al Nord e disimpegnate ed opache al Sud dove non sono mancati fenomeni estesi di resa al degrado.

Eppure, e questa è la benefica visionarietà di De Rita, partendo dalla singolare resilienza che – secondo De Rita – la nostra società nel suo complesso ha saputo ( anche in tempi economicamente così inquietanti come i presenti ) esprimere nel profondo, è possibile “nutrire nuove speranze facendo affidamento su alcuni segnali di un’inversione di tendenza”. E quali sono questi segnali, che, tutti insieme, chiamano in causa una rinnovata borghesia? Anzitutto l’esaurimento del lungo ciclo della soggettività (del quale Berlusconi è stato il più abile rappresentante politico), ove al primato dell’io sono stati piegati leggi naturali, codici morali e persino il peccato, ridimensionando anche il ruolo della Chiesa Italiana (peraltro non immune anch’essa da angusti arroccamenti, che ne hanno determinato la crisi presente); poi la ripresa di forme di partecipazione collettiva che si esprime anche in un forte volontariato ed in una spinta all’autorganizzazione (qui il richiamo è alla Big Society di Cameron, ma anche, aggiungerei io, a quanto va proponendo Pellegrino Capaldo nel suo Progetto su www.perunanuovaitalia.it) ed alla sussidiarietà civile.

In sostanza, concludono De Rita e Galdo, “le acque immobili di questa palude stagnante che è oggi la società italiana, possono essere agitate anche da un rilancio delle virtù civili che partono dal profondo della nostra coscienza e non da semplici pulsioni individuali”; il tutto a condizione che si determini in noi un ardore, di qualcosa che brucia dentro di noi.

Bene; questo è il piccolo ma non trascurabile libro che consiglio a tutti di leggere: comunque fa bene pensare che chi è tanto solido (e lucido) nell’analizzare i mali della nostra società e della nostra cultura anche civile, comunque coltivi “nuove speranze”, per le quali, da parte mia, non posso che desiderare analogo fondamento.