In questo periodo sono costretto a frequentare in modo assiduo i taxi, per ragioni, spero transitorie, legate alle mie condizioni fisiche. 

Pochi giorni fa, dopo la formazione del governo Monti, mentre ci trovavamo imbottigliati sul raccordo anulare, il tassista ha così commentato la nomina di Corrado Passera a ministro per lo sviluppo economico: “questo signore era amministratore delegato di Banca Intesa, e percepiva uno stipendio di 6 milioni di euro all’anno, il che vuol dire 12 miliardi di lire, pari dunque a 1 miliardo di lire al mese. Secondo lei, per quale ragione una persona dovrebbe rinunciare ad uno stipendio di un miliardo di lire al mese per diventare ministro? Per fare il nostro bene? È evidente che questo signore è stato mandato lì da qualcuno, ed egli stesso conta di ricavare dal suo incarico ben più di quanto otteneva in precedenza”.

Il ragionamento non fa una grinza: è assolutamente perfetto, e non c’è alcuna possibilità di controreplica se non scardinando l’impostazione che ne è alla base.

Perché mai una persona dotata di buon senso dovrebbe andare a fare qualcosa che non gli renda più di quanto percepiva prima? Che cosa dovrebbe spingere un individuo dotato di raziocinio ad accettare un declassamento economico? Non diciamo fandonie, affermando che esistano soggetti disposti a “sacrificarsi” per il bene comune!

Seguendo questo filo logico, l’invito di impegnarci in prima persona, di metterci a dire e fare in prima persona, è in fondo un invito a metterci a tavola anche noi; a partecipare al banchetto; a non restare fuori dalla spartizione del bottino; a non essere esclusi dalla possibilità, data a chiunque, di essere proiettati in quei luoghi nei quali si possono prendere decisioni e fare cose in vista di un proprio diretto tornaconto.

D’altra parte, come dare torto al mio tassista, ripensando a certe decisioni adottate dai ministri proprio mentre riempivano gli scatoloni delle proprie scartoffie, preparandosi a lasciare le pregiate scrivanie? 

Ripensando al ministro dei beni culturali, il quale un attimo prima di varcare la soglia ha creduto bene di nominare nelle sottocommissioni per il cinema: un noto conduttore televisivo celebre per gli inviti che rivolge ai propri intervistati a farsi una domanda e darsi la relativa risposta; il suo editorialista; un’altra opinionista assidua frequentatrice della trasmissione televisiva, che per puro caso è anche moglie di un giornalista che si affaccia dopo il Tg1 della sera; il critico cinematografico de Il Secolo; un giornalista politico di Panorama che non si è mai occupato di cinema, salvo che in occasione di un’intervista all’augusto ministro; l’animatore del celeberrimo Magna Grecia film festival di Calabria; la moglie di un senatore siciliano, già sottosegretario all’interno; e, dulcis in fundo, la ex segretaria di Fedele Confalonieri, responsabile delle relazioni istituzionali della Mondadori, e per puro caso moglie di un ex deputato forzista campano.

Come dar torto al mio tassista, se un ministro dell’istruzione celebre per una riforma che si proponeva di combattere il nepotismo dentro le università, ristabilendo il merito come la base di ogni carriera, mentre riponeva gli effetti personali negli scatoloni, come segnalato da Gian Antonio Stella sul Corriere, ha nominato nel consiglio di amministrazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche una giovane promessa di 74 anni, rettore dell’Università napoletana Partenopee, ultima nella classifica del Sole 24 ore e che è diventato celebre per aver sistemato nella “sua” università la seconda moglie, il di lei fratello, una figlia e i mariti delle due figlie? E che, con una grande faccia di tolla, al giornalista che lo intervistava chiedendogli conto dell’operato così nepotista, ha compatito i propri parenti ingiustamente additati, e risposto testualmente “non è giusto ‘stare scritti’ sui giornali”.

Certo, ci auguriamo che Mario Monti riesca a salvare l’Italia con provvedimenti anche duri, ma equi, e che ci portino fuori dal pantano nel quale ci troviamo.

Ma l’Italia non si salverà se non riusciremo a diffondere parole e comportamenti che non temo di definire “profetici”, e che testimonino che è possibile, realistica, praticabile, una visione “alta” della politica; che non veda in essa uno strumento di arricchimento, di elargizioni di favori in vista del contraccambio, ma che sia vista e vissuta come la messa a disposizione delle proprie capacità, delle proprie energie, a beneficio del proprio paese; dei suoi cittadini; del mondo nel quale ci troviamo.

Credo che sia da qui che occorre partire. Sono parole che suonano come folli, rispetto a quanto abbiamo vissuto in questi ultimi vent’anni. Ma non dobbiamo aver paura di pronunciarle. Non dobbiamo aver paura di essere considerati pazzi. Dobbiamo dimostrare che è possibile attendersi e pretendere da chi è chiamato ad incarichi politici un atteggiamento di servizio.

Cominciamo a farlo noi. Forse riusciremo davvero a salvare l’Italia.