La settimana scorsa il figlio di un mio amico mi ha comunicato che tra qualche mese si sposerà. Mi sembra davvero una buona notizia.
Nei giorni successivi più di un amico, commentando, ha trovato naturale chiedermi se (dunque) i due avevano trovato un lavoro, collegando evidentemente la decisione presa a quella che considerava la condizione che l’aveva resa possibile.
Nulla di strano. La mia generazione e quella dei miei genitori è cresciuta considerando il vivere insieme, il matrimonio e l’autonomia economica tre passaggi strettamente connessi, ognuno condizione dell’altro. Non si viveva insieme se non si era sposati, ma non ci si sposava se non c’era autonomia economica, dunque trovare un lavoro diventava il passaggio che dava il via libera agli altri due. Ma non è stato sempre così: all’epoca dei miei nonni e bisnonni la precarietà cronica della condizione rurale non consentiva di identificare con chiarezza il passaggio all’autonomia economica del singolo nucleo, che restava spesso collegato – per il reddito e non solo – alla famiglia allargata di origine, così che la scelta di sposarsi risultava meno condizionata, sganciata dalle variabili studio-casa-lavoro poteva essere presa con maggiore libertà.
Ma le cose cambiano e così come il migrare dalle campagne alle città, la scolarizzazione e il superamento della famiglia allargata hanno generato il modello della famiglia mononucleare fondata sulla autonoma produzione di reddito, oggi la difficoltà a realizzare quest’ultima condizione modifica di fatto la connessione di necessità tra autonomia economica e matrimonio.
Delle due l’una: o non si considera più il raggiungimento dell’autonomia economica la condizione indispensabile per sposarsi, o -come sta avvenendo sempre più spesso- non ci si sposa più. Non si tratta di una scelta ideologica, ma di una mutata condizione “ambientale”.
Ma allora -in questo mutato quadro- che significa sposarsi?
Penso significhi, (come è sempre stato) decidere di vivere insieme e affrontare insieme le vicende della vita, solo che oggi tra queste vicende rientra anche la ricerca del (primo) lavoro e di una autonomia economica, mentre in passato questa precedeva la decisione di sposarsi e ne costituiva la condizione.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere: forse svincolando il matrimonio dalla stabilità economica lo si “sgancia” da una variabile imprevedibile e pericolosa, costringendo chi prende questa decisione a trovarne le ragioni esclusivamente nella propria libertà e responsabilità.
Va da sé che non avere un’autonomia economica stabile comporta “arrangiarsi” con poche risorse e dipendere per molte cose da altri, ma anche questa precarietà fa parte delle vicende della vita! Non c’è oggettivamente molta differenza fra essere precari ciascuno a casa sua ed essere precari da sposati. La vera differenza è tra considerare questa precarietà come il problema di ciascuno o affrontarlo come un problema “di coppia”, che è appunto quello che ci si aspetta da due persone che hanno deciso di sposarsi.
Ecco perché la decisione di sposarsi mi sembra comunque una gran bella notizia. Anche al tempo delle collaborazioni occasionali.