Lo scorso 16 febbraio, nel quarto e ultimo incontro del minimaster “Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?”, organizzato da TrecentoSessanta, lo storico Miguel Gotor, ricercatore presso l’Università di Torino e noto giornalista, ha svolto l’intervento dal titolo “Dopo Berlusconi e il berlusconismo: come cambiano destra e sinistra”. Ecco, in sintesi, il suo intervento.
L’attuale fase politica si presenta come un processo di accentramento del sistema e presenta forti analogie con il periodo giolittiano intorno alla prima guerra mondiale e con il periodo del governo Moro del ’74-76. Gli esiti di questa fase sono più legati agli sviluppi della crisi economica che all’evolversi dello scenario politico.
Il ventennio che abbiamo alle spalle sarà certamente ricordato come il ventennio berlusconiano il cui tratto caratterizzante non è stato tanto il bipolarismo (già presente in Italia anche se in forme diverse) quanto una reale alternanza delle forze al governo: una assoluta novità per il sistema italiano, abituato a periodi lunghissimi di governi condotti dalla stessa forza politica.
Per valutare “storicamente” il ventennio berlusconiano occorre liberarsi di due stereotipi: uno è quello di considerare Berlusconi solo un pagliaccio (Berlusconi come uomo di potere è stato estremamente efficiente, capace di anticipare le tendenze e pilotare gli umori dell’elettorato ed anche in questa fase sta mostrando doti politiche notevoli, fra cui quella di scomparire nell’ombra per riorganizzarsi); l’altro è quello di considerare Berlusconi un nuovo Mussolini, capace di minare in profondità la democrazia.
Si tratta di due stereotipi estremamente diffusi e difficili da accantonare. In realtà gli antiberlusconiani duri e puri appaiono come un insieme compatto “culturalmente”, ma essi sono in realtà (così come i berlusconiani duri e puri) numericamente minoritari e politicamente non coesi.
Nell’ultimo ventennio l’Italia è passata bruscamente dall’anomalia della ipertrofia dei partiti alla altrettanto anomala ipertrofia della personalizzazione e del partito azienda. L’attuale fase “tecnocratica” è il solco nel quale le forze politiche dovranno ricostruire se stesse e le loro proposte. Questa fase -prolungata fino al 2013- lascerà un segno profondo con cui i partiti dovranno fare i conti in futuro, non sarà solo una parentesi politicamente neutra.
Il berlusconismo è stato possibile perché si sono prodotte tre condizioni.
La prima condizione è stata la capacità di Berlusconi di presentarsi come una forza di discontinuità “rivoluzionaria” garantendo invece -nella sostanza- una efficace continuità con il vecchio sistema di potere (quello di Craxi e Andreotti).
La seconda condizione sono stati gli errori del fronte progressista, che ha insistito con una strategia di carattere frontista, illudendosi che bastasse esserci per riempire lo spazio che Berlusconi lasciava nei momenti di sconfitta elettorale (i due governi Prodi) e che il vento dell’antipolitica avrebbe senza sforzo gonfiato le sue vele (per poi ritrovarselo regolarmente contro).
La terza condizione è stata la mancata convergenza tra il fronte progressista e quello moderato. L’unica medicina che ha impedito alle forze moderate di costruire complicità definitive con la destra è stato il “riformismo possibile”, senza grandi modelli, ma costruendo di volta in volta intese su temi specifici.
Come si uscirà da questa fase?
Abbiamo un sistema elettorale che -malgrado consenta di ottenere buone maggioranze parlamentari- non garantisce di fatto la stabilità.
Abbiamo una borghesia che o è cosmopolita o è provinciale: le manca il livello intermedio ed è incapace di credere davvero nella politica nazionale.
Lo sviluppo successivo a questa fase dipende da tre variabili ad oggi incerte.
La prima incertezza è la legge elettorale che verrà definita. Il rischio è che prevalgano nostalgie proporzionalistiche generando risultati elettorali frammentati che si limitIno a “fotografare” la realtà.
La seconda incertezza è cosa resterà del PDL, non è detto che una frattura in due o tre tronconi renda lo scenario più chiaro e soluzioni di governo più facili, potrebbe al contrario complicarlo.
La terza incertezza è legata al peso che l’attuale esperienza Monti avrà sul quadro futuro; potrebbe far naufragare la ricerca di un accordo tra PD e terzo polo (giustificato soprattutto dalla presenza di Berlusconi) e potrebbe addirittura prefigurare un prolungamento di “grande coalizione” che appoggia un demiurgo, come accade ora con il governo Monti.
Lo scioglimento di questa ultima incertezza è dovuta agli sviluppi della crisi economica: se questa sarà contenuta potrebbe crearsi la situazione di “bonaccia” che renderebbe possibile il prolungamento della “grande coalizione”, se -al contrario- la crisi non sarà contenuta e non sarà sostenibile lo scenario inevitabilmente si radicalizzerà. Bisogna che i partiti si preparino ad affrontare entrambi gli scenari.