Una volta ero un assiduo lettore/scrittore di articoli su questo sito. Ne ho scritti circa una quarantina. Poi, via via, sono rimasto solo lettore di articoli altrui. Poi ancora, disattento lettore di soli titoli. Scrivere significava essere presente, avere voglia di comunicare, di costruire, di portare “l’acqua .. al mulino delle cose che possono far cambiare il Paese dal basso”. E in questa veste di portatore d’acqua ero, esultante, al Quirinale a festeggiare con il Messia di Hendel la caduta del berlusconismo, convinto che sarebbe iniziata una nuova era. Che a breve ci sarebbero state elezioni e un nuovo governo di centrosinistra.
Poi , piano piano, qualcosa si è rotto.
In un ultimo sussulto di partecipazione da portatore d’acqua sono andato a votare alle primarie per il segretario regionale. Fondamentalmente, come ho detto al seggio, per scongiurare che Gasbarra diventasse segretario. Premetto che non conosco Gasbarra e quindi le mie considerazioni sono del tutto umorali. Ma questa candidatura mi è sembrata in continuità con la scelta di Rutelli a Sindaco, e sappiamo come andata, sia per il sindaco che per Rutelli. Quando ho ricevuto la scheda ho letto: A Sinistra per Gasbarra, Gasbarra Partecipazione Democratica, Gasbarra Uniti per vincere, Democratici per Gasbarra. Lì ho capito l’inutilità del mio voto e della chiamata popolare alle armi. Ho votato Marta Leonori perché vicina a Marino, persona che stimo. Penso che sarà l’ultima volta che vado a votare alle primarie. Almeno a questo tipo di primarie preconfezionate. Che mi confermano l’idea di un partito che esprime vecchi modi di far politica, tutt’al più un po’ imbellettati (con le primarie appunto), più interessato a salvaguardare equilibri interni tra componenti che si contrastano e annullano a vicenda, impegnate in una lotta che genera completo immobilismo, come nel tiro alla fune. Così diventano preponderanti altri valori, autoreferenziali, e non invece la società esterna nei suoi problemi concreti, quotidiani, irrisolti, come il lavoro giovanile, le pensioni, la pressione fiscale. Sui quali solo qualche mugugno.
La crisi del partito (dei partiti) è ancor più evidente in questa fase anomala della politica, delegata a “tecnici” onnipotenti, superdotati, consegnati alla guida del Paese per la paura di vincere le elezioni e dover di nuovo prendere provvedimenti impopolari per risanare quel tessuto economico-sociale che la destra berlusconiana ha rapidamente distrutto nel suo ultimo triennio di potere.
Spesso Amedeo mi sollecita a scrivere di nuovo qualche articolo, rispondo divagando: “Il lavoro è aumentato, ho poco tempo”. Una parte di verità c’è senz’altro: Amedeo lo sa bene lavorando insieme. Ma non è tutta la verità. Passare da scrittore a lettore e poi a lettore frettoloso è in fondo anche questa una specie di scelta politica. La scelta di chi decide – e non sai neanche quando è avvenuta questa metamorfosi – di non portare più “acqua a questo mulino”.
Mi ritrovo quindi in piena sintonia emotiva con la “combattiva consigliera comunale”. Questa crisi di adesione al partito, alla politica, alle risposte che il partito sta dando in questa fase politica, mi fa sentire come Steve McQueen nella Grande Fuga, un film che tutti ricorderanno. Mi sto scavando anch’io il mio tunnel per fuggire, insieme a tanti compagni di strada. Ora sto –e siamo in tanti- sotto il tunnel al buio, la mia (nostra) fuga non è ancora conclusa, non si intravede ancora la luce proveniente dall’ altra parte del foro.
Ma cosa ancora più inquietante è che cosa ci sarà alla fine del tunnel nessuno ancora lo sa. E così anche io, tra molti: so da dove fuggo, non so dove finirà la fuga.