Amedeo, capisco bene lo stato d’animo della giovane consigliera comunale; per tanti motivi, per alcune esperienze fatte, ma soprattutto per il modo diretto con il quale ha espresso il suo disagio. In realtà la capisco principalmente per questo. Poi ci sono altre ragioni più politiche per capirla e per risponderle, come indirettamente mi permetto di fare allegandoti il bell’articolo di Reichlin http://cerca.unita.it/?f=fir&orderby=1&key=Alfredo%20Reichlin dove è ben spiegato il necessario ruolo della politica in questa fase delicata.
Quelle di Reichlin sono risposte nobili che faccio mie sia per l’autorevolezza della fonte, sia per il convincimento che alla fine di ogni riflessione non potremo fare a meno della forma di partecipazione politica che conosciamo meglio, ma penso sia necessario anche metterci in sintonia con l’urlo della consigliera comunale e per questo mi soffermo su alcune riflessioni che toccano più da vicino la mia sensibilità.
Tu conosci le mie convinzioni sui danni che penso abbia prodotto il presunto ‘primato’ della politica e quindi puoi capire la mia vicinanza alle sue delusioni e quanto quell’urlo risuona dentro di me.
Penso sia la delusione di chi si accorge come troppe volte l’esercizio di questo presunto primato abbia prodotto, alla prova dei fatti, una subalternità nei confronti dei poteri forti e, al contempo, una supremazia sul sociale. Il primato della politica ha vinto sul sociale e allo stesso tempo è stato battuto dalle varie caste, quelle stesse della politica, quelle della rendita, quelle della finanza: in altre parole i partiti hanno già vinto sui più deboli e continuano a perdere con i più forti.
Questa penso sia la radice della demoralizzazione della consigliera comunale e capisco bene l’urlo col quale ci dice di non voler perdere il suo tempo, le sue emozioni e le sue passioni per una attività che la porta sistematicamente ad assistere a esiti diversi da quelli per i quali era disposta a varcare le soglie della sezione del partito o del consiglio comunale.
In tanti possono dire e testimoniare che non è così, che non è sempre così, ma noi, qui, nella nostra città e nei nostri territori sappiamo che purtroppo è così, e tu lo sai bene.
Tanti altri possono dire che la politica non è fatta per le anime belle, che la dura lotta nel quotidiano è fatta del sudore di chi si scontra con la quotidianità degli interessi ‘particulari’; di lotte per un metro quadrato di suolo pubblico dove collocare un tavolino in più o un altro vaso di fiori da vendere per non chiudere l’esercizio commerciale, o di tante famiglie che vivono dello stipendio di un dipendente di una municipalizzata. Ma anche in questi casi noi, tu, sappiamo bene che non è così e che il metro quadrato sul marciapiede o il posto in ufficio non sono dati per la sopravvivenza di famiglie.
Ormai la scelta per la politica è praticata da pochi, anche questo tu lo sai. Non ci possiamo meravigliare se sempre di più l’alternativa che si pone a quanti in buona fede coltivano l’ambizione di concorrere a dare un proprio contributo per la formazione della classe dirigente del nostro paese diventa quello di scegliere la propria collocazione nei luoghi dei poteri forti, l’economia o la finanza, o nel sociale, con le sue varie forme di imprenditoria sociale o di cittadinanza attiva. Entrambe, il mercato o il sociale, comunque qualcosa di interessante lo sollecitano a quanti si presentano sull’uscio di entrata, entrambe esplicitano gli obiettivi: profit o non profit, ricchezza e potere o senso della vita e solidarietà. Poi magari non sempre son rose e fiori, anzi si scopre che il ‘particulare’ regna sovrano anche lì, ma almeno una richiesta in questo senso il profit e il non profit provano a rivolgerla a chi varca le loro porte. La politica nelle istituzioni, i partiti nelle loro sezioni oggi lo chiedono a chi gli si avvicina? E con quale ‘moneta’ pensano di ripagare l’impegno?
In termini di aspettative o di probabilità prova tu, proviamo noi a rispondere alla domanda sul dove pensiamo di poter essere chiamati per il nostro spirito di iniziativa, per la nostra propositività, creatività, voglia di intrapresa, per la nostra professionalità o per la nostra cultura: nel mondo della politica, in quello del mercato o nel sociale, quello che un tempo era il terzo settore e che nei prossimi anni la Comunità europea già ci dice che si evolverà in forme nuove? Proviamo a chiedercelo perché è di questo che si tratta in fondo, del tentativo di apportare qualcosa di proprio alla coltivazione dell’interesse generale: questo è l’urlo che ci rivolge la nostra consigliera comunale.
Ecco allora che rinasce la tentazione di tornare a una politica che ‘molli l’osso’ della società, che trovi le condizioni per costruire classe dirigente rispettosa dell’autonomia dei corpi sociali, che anzi interpreti il suo ruolo nello stimolare la società civile, ed anche il mercato, a creare nuove forme istituzionali di autonomia e che sperimenti ogni nuova modalità per chiedere creatività, intrapresa, cultura a chi pensa sia possibile arricchirsi, ciascuno con le relative monete, nel mercato e nel sociale per poi volersi anche dedicare alle istituzioni.
Ai miei tempi all’università il professor Caffè ci insegnava come la nobile teoria del ‘lasciar fare’ al mercato non funzionava, poi ci faceva anche studiare le varie forme di fallimenti del pubblico: forse da lì bisognerebbe riprendere il discorso. Lungo un sentiero composto di nuove dinamiche nella vita dei partiti, di irrobustimento delle forme autonome di organizzazione della società civile e di maggiore libertà del mercato entro i nuovi orizzonti della responsabilità sociale. Tutte le componenti dovrebbero poter intervenire nella vita delle istituzioni, riconquistando i partiti un primato: quello della migliore capacità di formare classe dirigente. Questo però non è un primato acquisito dai manuali già scritti, ce lo si gioca sul campo, stagione dopo stagione, a volte conquistandolo e altre, come di questi tempi, perdendolo.