Amedeo, se qualunque spunto può esserti d’aiuto.. perché no?

Resto infatti dell’idea che per cambiare la politica serva la volontà popolare di cambiare le persone che la fanno ma, perché ciò accada, occorre preventivamente dare la democratica possibilità al popolo di scegliere i politici sapendo cosa scelgono, al pari di quando si va a fare la spesa e si vuole sapere del prodotto che si acquista la composizione, la qualità degli ingredienti, la filiera ed il luogo di  produzione, la data di scadenza, etc..

Serve poco oramai filosofeggiare su cosa potrebbe o dovrebbe essere o fare la politica per il bene dell’Italia,  bisogna innanzitutto preoccuparsi – nella gravità della situazione in cui versiamo – di selezionare e reclutare bene la nuova classe dirigente che dovrà fare politica e rappresentare il paese nelle istituzioni.

Resta certo il tema se saranno in definitiva davvero capaci i cittadini elettori di saper discernere, di scegliere bene, ma almeno diamogli un’effettiva possibilità di farlo in modo consapevole.

E’ il bene e il male della democrazia!

E quindi, perché non partire dal sostenere l’adozione una  “Carta di Identità del Politico”?

Ecco la mia proposta:

LA CARTA DI IDENTITA’ DEL POLITICO: UN IMPEGNO IN PRIMAPERSONA  

Vivere e superare la crisi della politica, riportarla nel ruolo che le è proprio,  ridare ad essa autorevolezza, farla diventare attrice e protagonista del cambiamento e dello sviluppo per il futuro delle nuove generazioni. 

Questi gli obiettivi che deve darsi chi si preoccupa di riformare la politica per emanciparla da una crisi che l’attanaglia ormai da decenni e che ha raggiunto forse il suo apice  negli ultimi tempi, proprio contestualmente all’acuirsi della crisi economica.

La situazione italiana non è forse dissimile da quella che altri paesi stanno vivendo, ma certamente l’Italia è un cantiere dove troviamo in varia misura tutte le più deteriori degenerazioni che hanno colpito la credibilità della politica.

Questa, da arte nobile di scegliere la soluzione migliore per il benessere della collettività, sembra oramai divenuta, per comune diffuso sentire, luogo solo di accordi scellerati, ruberie, clientele di vario genere, squallide e volgari ripicche personali, totale mancanza di senso dello Stato e del decoro nella vita pubblica, per tacer dell’altro.

Ecco anche il motivo principale perché, di fronte ad un momento cruciale per le sorti del nostro Paese, per recuperare un ruolo autorevole nel panorama economico e politico internazionale, nonché per adottare impopolari misure di governo e tracciare la via di urgenti riforme strutturali vi è la necessità di farsi assistere da  un governo “tecnico”.

Di ciò deve sentirsi responsabile tutta l’attuale classe politica (e le precedenti), che  in un impeto se non di nobiltà quantomeno di autodifesa, dovrebbe dare chiari e forti segnali di discontinuità. In sostanza, da riformare non è la politica ma soprattutto chi la esercita.         

Nella maggior parte dei casi è evidente che la principale  ricetta dovrebbe essere quella di chiedere di “farsi da parte”, ma sappiamo che oltre ad essere una vana utopia,  questa  soluzione non sarebbe neppure in grado di evitare il cronico rigenerarsi delle medesime storture: “se non si dissoda e purifica il terreno, l’erba cattiva riscrescerà persino più rigogliosa”.E allora?

Dobbiamo provare a “rompere il fronte”, a puntare ad un presa di coscienza della parte, seppure forse esigua, di chi attualmente fa politica e che crede ancora nella possibilità di una rinascita virtuosa o almeno teme, a ragione, che il “castello” prima o poi venga assediato, che ove il risultato non sia raggiunto per sana fisiologica evoluzione si rischi di subirlo e sopportarlo per rivoluzione.

Dobbiamo, in sostanza, provare a suscitare l’interesse ad impegnarsi in “prima persona” per operare un cambiamento radicale del modo di fare politica e, soprattutto, del modo di reclutare chi intende farla.

Come?

Non basta la “moral suasion”, né è pensabile  giungere al cambiamento attraverso riforme istituzionali, laddove queste sono il punto di arrivo del percorso e di un pieno risveglio delle coscienze.  

Occorre cominciare a suggerire una “road map”, quasi un corridoio umanitario,  a coloro che sentono l’esigenza di dissociarsi, proponendo strumenti pubblici di trasparenza che ridonino credibilità alle persone, prima ancora che al ruolo politico che rivestono.

Un primo passo potrebbe essere quello di chiedere a chi fa politica, a  chi aspira a entrare in politica o a ricoprire incarichi istituzionali, di sottoscrivere una dichiarazione sulla  trasparenza e l’etica dei propri comportamenti, nella quale sia innanzitutto reso chiaro il profilo della persona e fissati gli impegni  minimi  che si intende rispettare  nei confronti della collettività di cui si aspira ad essere interpreti, rappresentanti o tutori.     

Un carta di identità del politico e dei suoi valori etici.

Non si potrà certo obbligare nessuno a sottoscriverla, ma si potrà nondimeno rendere pubblico chi la sottoscrive e chi no, lasciando al singolo cittadino ogni conseguente valutazione, anche sul piano elettorale.

Quanto più condivisi saranno i contenuti minimi degli impegni etici e di trasparenza contenuti nella “Carta di identità del politico” e quanto più sarà autorevole l’Associazione e chi la rappresenta, tanto più avrà prevedibile successo e risonanza  questa iniziativa.

Ricordiamoci che la crisi, quella della politica, quella economica ed ogni altra crisi è sempre una grande opportunità di cambiamento.