Ne “Le Città Invisibili” di Calvino, Marco Polo chiude il racconto, rivolgendosi a Kublai Kan: l’inferno dei viventi è “quello che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Fermarsi per rimettere a fuoco, riposizionare lo sguardo sulle nostre città e allontanare il rischio di non vedere l’inferno che ci abita accanto. Noi non vogliamo e non possiamo essere quei molti che non vedono più l’inferno metropolitano a cui sono costretti i tanti rifugiati che naturalmente giungono nelle nostre città.

Per il Centro Astalli celebrare la giornata mondiale del rifugiato vuol dire scegliere la seconda via: impegnarsi a trasformare le nostre città, rendendo spazio agli invisibili.

Roma, Catania Palermo, Napoli, Vicenza, Padova, Trento sono piccole diapositive in negativo di Nairobi, Bangkok, Il Cairo… Piccoli avamposti metropolitani dove i rifugiati giungono in cerca di possibilità.

Nulla può essere peggio del deserto, del naufragio, della guerra e della morte, questo si ripetono i rifugiati giunti in Italia. La loro certezza trova conforto una volta in città: anonimato, sfruttamento, degrado possono essere ristoro per chi fugge. Il rischio è che per noi tanto basta ad assopire le coscienze, a convincerci che in fondo tollerare in qualche modo è accogliere.

Così nasce per molti l’inferno metropolitano, di cui ciascuno di noi è in parte responsabile. Celebrare la giornata mondiale del rifugiato vuol dire svegliarsi, aprire gli occhi e guardarsi intorno.

Ciascuno di noi faccia spazio, trovi modi nuovi di pensare e abitare la città.

I rifugiati diventino visibili, facciamoli durare, siano una ricchezza per le nostre metropoli. Uomini e donne in cammino, abituati al sacrificio e al dolore, così forti da essere in grado di sostenere da soli tutta la città. Serve solo un appiglio, un punto di dignità.

Apriamo gli occhi, guardiamo in faccia i rifugiati: ciò basterà a renderci migliori e nessuno sarà più invisibile, in città.