Siamo un paese a sovranità limitata? Alcuni libri, usciti recentemente, sembrano confermare l’ipotesi che esiste da diversi decenni un disegno per ridimensionare la nostra sovranità politica ed economica.

Un minuzioso lavoro di ricerca, che ha  riguardato prevalentemente il periodo della strategia della tensione, ha portato alla luce documenti inediti ricavati dagli archivi ufficiali italiani e anglosassoni. Gli autori hanno utilizzato questo materiale cercando di collegare gli anni delle stragi e degli omicidi mirati con altri inquietanti eventi accaduti nei decenni precedenti.

Il loro lavoro ci ha aiutato a togliere il velo d’oblio steso su una realtà che purtroppo  le nostre Istituzioni  ci hanno  sempre presentato in modo opaco. Da questa, per molti versi inedita,  narrazione degli eventi drammatici che hanno scandito la storia del nostro Paese nel secolo scorso, si ha la sensazione, amara e tragica,  che ci sia stato sempre qualcuno, che recitando  la parte del “grande vecchio”, ci abbia impedito di costruire la nostra storia di paese libero e democratico.

Ne La repubblica delle stragi impunite Newton Compton Editore, 2012, Ferdinando Imposimato, per molti anni in prima linea nei processi di mafia e camorra e  dei più importanti casi di terrorismo, ripercorre la storia delle stragi che hanno insanguinato l’Italia: da quella di Portella della Ginestra (maggio 1947) a quella di via d’Amelio ( luglio 1992). Di quegli anni segnati da delitti senza colpevoli, stragi senza apparente spiegazione, interrogativi senza risposta, rimangono, come ferite non rimarginate,  le centinaia di morti e le migliaia di feriti, molti dei quali rimasti invalidi. Semplici cittadini e rappresentanti delle istituzioni che non hanno mai ricevuto giustizia a cui, per oscure e criminali ragioni collegate alla supposta presenza di uno  Stato parallelo in contatto con centrali straniere.

Imposimato, che nel suo libro ipotizza un legame di continuità fra le vecchie stragi golpiste e gli assassini mirati di Falcone e Borsellino, ricostruisce come sia stata assicurata l’impunità alla rete dei mandanti e degli esecutori delle stragi attraverso l’azione dei servizi segreti deviati responsabili di  molti oscuri omicidi, depistaggi, falsificazione e distruzione delle prove, rovesciamento di sentenze e segreti di Stato. All’inizio del suo libro questo giudice coraggioso si pone alcuni interrogativi. Le stragi erano dovute all’azione di terroristi o mafiosi opposti allo Stato che perseguivano un vantaggio personale, ricorrendo alla violenza, o piuttosto queste organizzazioni criminali avevano  operato al servizio di interessi politici ed economici per imporre un potere contro le regole di una corretta dialettica democratica ? I cosiddetti servizi segreti deviati agirono per interessi corporativi o  al servizio di entità  politiche  interne e internazionali ? Quale collegamento esisteva  tra la strategia della tensione  e Gladio, tra gli USA e gli attentati che hanno drammaticamente contrassegnato gli anni della strategia della tensione?

Secondo l’ipotesi di Imposimato i terroristi, i servizi segreti,gli apparati dello stato,i mafiosi e, ad un livello più alto rappresentanti della massoneria, sono stati solo esecutori di ordini provenienti da altre entità assolutamente insospettabili che egli identifica nei responsabili, militari e politici, dell’organizzazione Gladio (Stay Behind ). La strategia della tensione sarebbe servita a scoraggiare l’instaurarsi  in Italia di governi di sinistra e sarebbe stata orchestrata dalla Cia. 

L’obiettivo era destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare un potere politico intorno a cui si coagulavano interessi finanziari,industriali, corporativi, di apparati dello Stato e di potenze straniere, tutti decisi ad impedire l’avvio di un processo democratico e di reale modernizzazione dell’Italia.

Imposimato colloca l’origine della storia delle stragi negli anni dell’immediato dopoguerra quando l’Italia fu al centro di una guerra non dichiarata tra i due blocchi contrapposti Stati Uniti e Unione Sovietica.

Può essere interessante ricordare che già dagli anni dall’immediato dopoguerra gli Stati Uniti avevano sottoposto l’opinione pubblica interna e quella internazionale ad un pesantemartellamento propagandistico sulla minaccia comunista (1).

Quindi i comunisti erano il nuovo nemico . Esistevano, secondo gli strateghi di Washington e Londra, concrete possibilità che l’Armata Rossa  e i paesi aderenti al patto di Varsavia invadessero  con una operazione lampo l’Europa.

Gli Stati Uniti temevano il formarsi di nuovi equilibri politici che avrebbero pregiudicato la fedeltà del nostro Paese all’Alleanza Atlantica rendendo tra l’altro problematica la presenza delle basi  militari americane in Italia (Va osservato che, cessato il pericolo sovietico, il numero di queste basi, molte delle quali armate con ordigni nucleari, è costantemente aumentato nel corso degli anni. Attualmente le basi americane in Italia sono 113).

La NATO era consapevole infatti che le proprie  truppe stanziate in Europa occidentale non sarebbero stati sufficienti a respingere  questa invasione. Fu quindi deciso di costituire un esercito  segreto, Gladio Stay Behind formato da una rete di cellule clandestine, destinate a “stare nascoste” in territori controllati dal nemico. Questa rete  segreta dotata di armi ed esplosivi doveva  agire come un movimento di resistenza, conducendo atti di sabotaggio e di guerriglia in attesa dell’intervento degli Stati Uniti.

Nel suo libro Gli eserciti segreti della NATO. Operazione Gladio e terrorismo in Europa Occidentale Fazi Editore, 2008, Daniele Ganser, (storico svizzero  del Centro per gli Studi sulla Sicurezza dell’Istituto Federale di Tecnologia ETH) fa risalire la nascita dell’Operazione Gladio ufficialmente nel 1949 con la creazione di cellule clandestine nei paesi occidentali, quali Italia, Belgio, Germania dell’ovest, Grecia, Turchia e persino Svezia e Svizzera. Diretta dalla CIA statunitense e dal MI6 britannico  fu incorporata nella NATO alleandosi, poi  attraverso i servizi segreti locali, con componenti fasciste, naziste e della massoneria, tutte accomunate dall’anticomunismo.

Cessato il pericolo dell’invasione sovietica la rete Gladio non venne smantellata ma, attraverso varie tattiche e tecniche, venne utilizzata  per prevenire e contrastare eventuali successi dei partiti comunisti locali(finanziariamente legati a Mosca). Una di queste tattiche era sicuramente la strategia della tensione  che consisteva nel commettere degli attentati criminali ed attribuirli a qualcun altro. Insomma una guerra non ortodossa, che contemplava l’infiltrazione e la strumentalizzazione di tutte quelle forze eversive o antagoniste, in particolare anarchiche e marxiste, in modo da usarle per  compiere atti criminosi rivendicati con false etichette e bandiere.  Il vero scopo della “guerra non ortodossa”, apparentemente condotta contro il comunismo, era quindi quello di prevenire ed evitare che i Sovietici, approfittando di evoluzioni politiche imprevedibili nelle singole nazioni, instaurassero,  attraverso i partiti comunisti locali, da loro finanziati e supportati da forze progressiste, una ingerenza politico economica nelle nazioni   già sotto l’influenza americana mettendo in tal modo in crisi la loro  collocazione Atlantica. 

Un ruolo determinante in questa strategia di condizionamento della sovranità italiana,attraverso la strategia della tensione, lo ebbero anche gli inglesi. Nel loro libro  Il Golpe inglese Mario Coreghino e Giovanni Fasanella Chiare Lettere Editore, 2011 , attraverso ricerche con metodi  rigorosamente scientifici  negli archivi di Stato britannici( lettere , informative e rapporti top secret della diplomazia e dell’intelligence) hanno cercato di ricostruire le ingerenze britanniche nelle vicende di casa nostra dagli anni Venti all’omicidio Moro.

Secondo Coreghino e Fasanella gli Inglesi erano terrorizzati dal comunismo e  contemporaneamente perseguivano progetti di egemonia nell’area del Mediterraneo al fine di garantirsi la massima sicurezza negli approvvigionamenti energetici e il controllo del medio Oriente e di molti Paesi africani.

L’Italia uscita sconfitta dal conflitto mondiale e con un’economia a pezzi era considerata dagli Inglesi un Paese marginale su cui era necessario esercitare una forma di protettorato .

Secondo la dottrina britannica, elaborata da Churchill, già nella fase finale del secondo conflitto mondiale, c’erano tre cose che l’Italia non poteva assolutamente fare: dotarsi di un sistema realmente democratico, autogestire la propria sicurezza e organizzare una propria politica estera autonoma.

Il primo veto, quello sulla “democrazia bloccata”, derivava dalla presenza in Italia del Pci, il partito comunista più forte dell’Occidente. Ma gli Inglesi, secondo quanto emerge dalle ricerche di Coreghino e Fasanella, non intendevano lasciare che Roma badasse da sola alla propria sicurezza. E soprattutto, Churchill non tollerava l’idea che l’Italia potesse sviluppare una politica estera indipendente, basata cioè sulla esclusiva tutela dell’interesse nazionale. Ogni mossa di politica estera del nostro governo doveva essere concordata con gli Inglesi e avere il visto britannico. Quando l’Italia, nel tentativo di emanciparsi da questa condizione di dipendenza, ha tentato di derogare a quelle regole, sono nati i conflitti più duri con gli Inglesi.

Conflitti che emersero quando l’Italia, grazie ad enormi sacrifici e ad una serie di fattori favorevoli, iniziò, a partire dal 1953, un impetuoso e veloce sviluppo industriale  che in pochi anni la imposero sulla scena mondiale con il rango di una vera e propria  potenza.

Il «miracolo economico» Italiano fu favorito dall’ampia disponibilità di manodopera a basso costo  che incideva poco sul prodotto finito ,dall’ adozione di tecniche avanzate di produzione , «copiate» da altri Paesi che le avevano per primi elaborate e sperimentate ( sostenendo quindi il costo della ricerca), dai prezzi contenuti delle materie prime,in particolare del petrolio  di cui l’economia italiana , basata su un’industria di trasformazione, aveva bisogno.

In poco tempo grazie a questi fattori l’Italia aveva  scalato posizioni rilevanti  a livello internazionale in settori quali la meccanica, l’elettromeccanica, l’industria tessile, l’industria informatica (fu l’Olivetti a progettare il primo PC e i primi microprocessori del mondo) e la progettazione di grandi opere di ingegneria civile nei paesi emergenti. Per non parlare dei centri di eccellenza scientifica come la ricerca sull’energia nucleare, l’aerospazio, la  petrolchimica.

Lo Stato ebbe una parte di primo piano nella promozione del boom economico attraverso il controllo del settore siderurgico con la Finsider e del settore  petrolifero con l’ENI. 

Tra il 1956 e il 1959 il settore siderurgico ricevette un tale impulso che l’Italia, da Paese importatore, divenne esportatore netto, salendo all’ ottavo posto tra i produttori nella graduatoria internazionale.

L’ENI grazie al coraggio e alla visionarietà  di Enrico Mattei era stato uno dei principali artefici del miracolo economico attraverso gli accordi di partnership che aveva stretto con molti paesi produttori di petrolio e gas  che avevano consentito all’industria italiana di avere energia in grande quantità e a basso costo.

Per rendersi indipendente dalle Sette  Sorelle angloamericane Mattei aveva riconosciuto il principio per cui i Paesi proprietari dei giacimenti petroliferi dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei loro giacimenti. Ma non solo. In piena guerra fredda aveva aperto canali commerciali autonomi con l’URSS per la fornitura di gas e petrolio- Introducendo un metodo di “barter” che verrà osservato anche nei successivi contratti di fornitura –  grazie a cui il greggio veniva  “scambiato” con prodotti Eni tra cui gomma e materiali per costruire la rete di  oleodotti di  cui la Russia aveva assolutamente bisogno per accedere ai mercati occidentali.

L’accordo con la Russia aveva suscitato  forti reazioni negative da parte Usa e  Gran Bretagna che accusarono il presidente Eni di non mantenere i patti stipulati nel dopoguerra, di avere rotto gli equilibri del mercato dei prodotti petroliferi, scavalcando e danneggiando non solo gli interessi delle grandi Compagnie ma anche di avere compromesso futuri equilibri politici. Un conflitto con gli interessi delle compagnie petrolifere anglo americane  che lo accompagnerà fino alla sua tragica morte . Secondo Fasanella la strategia britannica, anche quando sembrava voler prendere a bersaglio il Partito Comunista, in realtà aveva nel mirino l’intera classe politica che aveva commesso il crimine di voler perseguire una politica di indipendenza e di  cooperazione con i vicini. Va ricordata a questo proposito la strategia dell’attenzione di Aldo Moro  verso quei paesi  che si stavano liberando dai regimi coloniali  (tra il 1957 e il 1968, ben 32 Paesi in Africa ).  Il colpo di stato  di Gheddafi in Libia  che aveva estromesso la monarchia filobritannica  di Idris (successivamente Gheddafi era entrato in partnership commerciale con l’Italia) fu l’esito finale di quel processo di ridimensionamento degli interessi britannici nell’area del Mediterraneo, del Medio-oriente e dell’Africa.

Attraverso la sua politica energetica spregiudicata e coraggiosa, Mattei contribuì a fare dell’Italia una delle potenze economiche mondiali, e Moro può essere considerato il suo successore, sul piano politico. Entrambi erano considerati dai britannici nemici mortali degli interessi inglesi da eliminare con ogni mezzo. Mattei morì in un incidente aereo provocato da un sabotaggio e sedici anni dopo Moro morì assassinato dalle Brigate Rosse.

Secondo  l’interpretazione storica di Fasanella si scontravano in quegli anni due visioni: da un lato una visione incarnata dalle classi dirigenti dell’Italia dell’immediato dopoguerra che fa della politica il motore dello sviluppo dei Paesi. Classi dirigenti di grandissimo spessore politico-culturale, che pur nella  durissima contrapposizione ideologica degli anni della guerra fredda, non perdevano mai di vista l’ interesse nazionale. Cioè la necessità comunque di tenere assieme il tessuto unitario del paese come base su cui far crescere il sistema politico per farlo  evolvere sempre più verso una democrazia matura.  Una delle grandi intuizioni di quella parte del ceto politico italiano del dopoguerra nazionale fu ,  sempre secondo Fasanella, la scelta strategica delle Partecipazioni Statali:il punto di compromesso tra una visione marxista e una visione liberista sul piano economico.  Quindi, uno stato imprenditore, efficiente capace di equilibrare la presenza di un’industria privata come quella italiana, molto oligarchica, familistica, legata spessissimo a interessi stranieri, quasi sempre a interessi anglosassoni.

Questa visione della società “anti-oligarchica”, secondo Fasanella, si opponeva diametralmente a quella  che teorizzava la “piramide oligarchica”. Negli anni novanta William Rees Mogg, uno tra i più autorevoli  rappresentanti dell’estabishment britannico , scriveva  che non vale la pena istruire il 95 per cento della popolazione, perché basta il 5% per gestire la società. In cima alla piramide quindi l’oligarchia che rappresenta il 5% della società, e in basso il restante 95% tenuto nell’ignoranza.

Dopo la morte di Moro tutti gli obiettivi che gli inglesi (e gli americani)si prefiggevano di raggiungere sono in qualche modo stati raggiunti. L’Italia è progressivamente precipitata in una crisi sempre più profonda. Da anni priva di una politica estera ha perso posizioni e prestigio a livello internazionale. Una oligarchia corrotta e incompetente si è avvicendata nella gestione del nostro Paese che oggi risulta sempre più diviso al proprio interno, caratterizzato da una grave deriva culturale, che fatica a trovare una propria identità. Un Paese che rischia di subire , sotto la spinta di un sistema  televisivo consumer oriented un vero e proprio mutamento antropologico . 

Ma  la conseguenza più grave dell’attacco di questi ambienti oligarchici internazionali  è stata lo smantellamento dell’IRI, con la complicità delle nostre oligarchie interne. Un immenso patrimonio in termini di know how tecnologico e di posti di lavoro che era stato il propulsore dell’innovazione  a partire dagli anni 50  è  stato azzerato ,disperso o, ancora peggio, acquisito  a prezzi di saldo  da aziende straniere .

Ci dobbiamo confrontare con questa amara realtà. Oggi le pochissime multinazionali che può ancora vantare l’Italia (appena 10) né tanto meno i 4 milioni di  PMI  sono in grado di produrre ricerca, innovazione e un indotto  significativo in termini di posti di lavoro  che consenta di contrastare il declino economico dell’Italia.

Quando potremo iniziare  a sperare  nella rinascita  economica e sociale del nostro Paese?

Quando e se lo Stato, attraverso persone dotate di senso etico e di adeguati livelli di competenza, tornerà ad identificare  priorità e settori strategici (quali  istruzione e ricerca )per rendere competitivi il proprio territorio, le proprie imprese e i propri cittadini. Oligarchie permettendo.

  

(1) Riporto  a questo proposito  alcuni significativi passaggi  estratti da un documento che si riferisce alle guidelines che hanno ispirato la politica estera, degli Stati Uniti dal dopoguerra ad oggi

.. ..  Noi abbiamo circa il 50 % della ricchezza del mondo  ,ma solo il 6,3 % della popolazione ..In questa situazione è ovvio  che saremo oggetto di invidia e risentimento ..Il nostro reale impegno in un prossimo futuro  è di studiare  uno schema di rapporti  che ci permetta di   mantenere questa  posizione di disparità  per riuscirvi  dobbiamo liberaci di tutto il sentimentalismo e le fantasticherie  e la nostra attenzione dovrà essere  concentrata sempre  e dovunque  sui nostri immediati obbiettivi nazionali… dobbiamo smettere  di parlare di obbiettivi vaghi  e irreali  come i diritti umani ,l’innalzamento degli standard  di vita e la democratizzazione …Non è lontano il giorno in cui saremo costretti a trattare in termini di potere e meno appesantiti   saremo da concetti e slogan idealistici meglio sarà…

Questo  estratto  è ricavato dal   Policy Planning Study  elaborato da George Keeman  nel 1948 per lo staff del Dipartimento di Stato. Keeman ,diplomatico e docente di  dottrine politiche nelle maggiori università americane , ha  svolto  un ruolo fondamentale   nel  formulare  i principi della politica estera americana del secondo dopoguerra , le basi ideologiche del nuovo secolo americano e la politica di contenimento dell’URSS. Gli enunciati di Keeman furono alla base  della dottrina Truman. In base ad essa gli Stati Uniti si facevano carico di proteggere militarmente qualsiasi zona del mondo fosse stata minacciata da eserciti di paesi comunisti e da forme di guerriglia comunque appoggiate da paesi di area comunista. Una enunciazione programmatica, che caratterizzò tutta la politica estera  statunitense degli anni successivi .

Va notato  che le dichiarazioni di Keeman sono perfettamente in linea con quanto sostenuto dai neoconservatori, da sempre  spina dorsale ideologica dell’ amministrazione degli Stati Uniti , nel Defence Planning Guidance del 1992  e nel National Security Strategy  del 2002…. Dobbiamo mantenere i meccanismi in grado di dissuadere i potenziali competitori anche solo dell’aspirare   a un ruolo più importante  sia a livello regionale che globale ….Per anticipare o prevenire azioni ostili da parte dei nostri avversari gli Stati Uniti se necessario agiranno preventivamente.