Non ho mai compreso l’espressione “valori non negoziabili”. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra. Per cui non capisco in che senso vi possano esser valori negoziabili.
Con questa dichiarazione, rilasciata al direttore De Bortoli nell’intervista di mercoledì scorso, papa Francesco ha chiuso in modo netto una disputa stucchevole, tediosa, che si trascina da anni non appena ci si avvicina a uno dei tanti “temi caldi” del nostro dibattito pubblico. Come riportare il Paese a livelli di competitività accettabili? Come comprimere con intelligenza la spesa pubblica? Nooo… Le coppie di fatto, le adozioni per le coppie omosessuali!
Insomma il dibattito su quelli che sembrerebbero essere i “temi divisivi” della nostra politica. Capaci di provocare scontri feroci, odi inveterati, dispute velenosissime. Con grande soddisfazione di chi deve fare audience in tv e con nessun contributo reale al dibattito pubblico. Figuriamoci poi alla azione legislativa.
Perché è tanta la forsennata gioia di accapigliarsi e di dividersi in fazioni, in squadre (noi di qua, voi di là), che ogni tentativo di discussione che abbia a che fare con i temi di bioetica e morale sessuale finisce per arenarsi miseramente in fase germinale.
Dietro a questa miserevole pantomina di certo si cela un filo di disonestà intellettuale, oltre che una massiccia dose di vera inettitudine. Perché quando ci si vuole accreditare come strenui difensori del costume e dei mores antichi, niente è più efficace di dichiararsi fautori senza se e senza ma – meglio se sbraitando e roteando gli occhi – dei “valori non negoziabili”. Pazienza poi se gli oratori in questione appaiono lindi e coerenti nelle loro vite come i famosi sepolcri imbiancati che tanto non piacevano a nostro Signore.
Stesso discorso – l’importante è fare casino – ma di segno opposto vale per i rivoluzionari d’accatto e per “gli amici del popolo” da salotto.
E allora? Ci abbandoniamo alla cagnara di chi urla più forte? Ma neanche per sogno.
Perché, come ci ricorda il nostro papa, la chiesa “è chiamata ad abitare le frontiere”. E, in un certo senso, anche la buona politica.
Il confronto/scontro e quindi la sintesi sono processi ineludibili quando si hanno responsabilità decisionali. La mediazione è un dovere. Non significa venire meno alle proprie convinzioni (i principi non si negoziano mai), ma non disdegnare la fatica, spesso l’avvilente fatica, di dover cercare una soluzione condivisa e accettabile, sia pure se non perfetta. Dovendo parlare anche (e soprattutto) con chi è lontano anni luce da te.
Senza disperare mai nella possibilità di un avvicinamento migliore, di una soluzione “meno peggio”, anche attraverso il ricorso allo strumento della battaglia culturale. Dopo tutto i cristiani, ci insegnavano al catechismo, sono chiamati a essere il sale della terra. E se il sale non ha sapore, meglio gettarlo via senza pensarci su.
Certo, ci vuole coraggio. Ma al di là degli slogan buoni solo per i pennivendoli e i giornalisti da strapazzo, è questa capacità di discernimento e di mediazione intelligente quello che ci aspettiamo dai nostri rappresentanti. Che siano cristiani o meno. L’importante è che si meritino il nome di politici.