La nota espressione inglese “Not In My Back Yard!” (in breve “NIMBY”), significa sostanzialmente “Basta che non sia qui!”: l’atteggiamento di chi riconosce che qualcosa è necessaria e va fatta ma, contemporaneamente, non vuole farsene carico.
Tutti sanno che la guerra in Siria (ma anche in Libia, in Iraq, in Afghanistan…) costringe migliaia di persone a cercare salvezza in Europa: ma quante sono in realtà queste persone? Per evitare che l’”invasione percepita” finisca per sostituirsi alla realtà, basterebbe fidarsi più dei numeri che dei filmati dei telegiornali e della sensibilità gastrica di Matteo Salvini. Il dato Eurostat parla un milione di richieste di asilo nel 2015, un milione in un continente di con 500 milioni di abitanti! Strano concetto di invasione… lo 0,20%! Uno ogni 2.000 europei! Ovviamente ammassati sul confine della Macedonia o sui barconi di Lampedusa sembrano molti di più…
Tutti sanno che queste persone non possono tornare indietro, tutti sanno che la convenzione di Ginevra (fu un accordo di civiltà o una scemenza da archiviare?) ci impedisce di voltare la testa dall’altra parte eppure il problema dell’Europa non sembra affatto essere quello del come organizzarsi per fornire asilo a queste persone o come evitare che siano costrette a lasciare il loro paese, ma piuttosto quello di come bloccarli da qualche parte, in qualsiasi modo, pur di evitare che arrivino fino a qui.
L’Austria ha limitato gli ingressi ad 80 richieste di asilo al giorno e la ministra dell’interno Johanna Mikl-Leitner ha giustificato l’imposizione dei limiti all’accoglienza dei rifugiati attribuendone la responsabilità alla Grecia affermando che “se Atene controllasse come si deve i suoi confini esterni, non sarebbe necessario intervenire” e che deve finire la politica del “lasciare passare” rifugiati e migranti. Se avesse studiato un po’ più di geografia saprebbe che il mare non si chiude come il Brennero…
A catena, come in un domino perverso, Slovenia, Croazia, e Serbia hanno chiuso le proprie frontiere bloccando così il flusso in Macedonia. Il premier olandese Mark Rutte si è spinto più a sud: “La cosa più importante è che nelle prossime settimane si riduca ulteriormente il flusso dalla Turchia: i flussi sono ancora troppo alti, bisogna fare meglio”. Chissà cosa intende Mark Rutte per “fare meglio”? Ucciderne un po’ in Turchia o pregarli gentilmente di smaterializzarsi?
Angela Merkel e François Hollande sono andati oltre auspicando che “Ankara controlli l’accesso al suo territorio“… il gioco dell’oca chiude qui il suo giro: oltre la Turchia queste persone possono solo restare in Siria, nella ridente Aleppo, nella tranquilla Damasco o contemplare ciò che resta di Homs… e con ciò il problema non esiste più!
Certo -molti dicono- non si può lasciare che l’Europa sia “invasa” da questa “massa” di disperati, ma, forse, se invece di regalare miliardi di euro alla Turchia perché li deporti sugli altopiani dell’Anatolia, si organizzasse un serio programma di corridoi umanitari e di ridistribuzione su tutto il territorio europeo spenderemmo meno, eviteremmo l’implosione dello stesso concetto di Unione Europea e avremmo più tempo ed energie da dedicare alla soluzione del conflitto che è all’origine del problema.
Oggi c’è a Bruxelles il vertice tra capi di Stato e di governo dell’Unione Europea e i rappresentanti istituzionali della Turchia: non ho ben capito se la questione sul tavolo è come dare una risposta ai rifugiati o quanti soldi dare ad Erdogan perché li blocchi al di là del Bosforo… ho paura che voglia trenta denari.