“Ripartire in salita è una di quelle manovre che richiede una certa esperienza e la conoscenza di quei segreti dell’autista provetto che a scuola guida non sempre si apprendono”, così sul web esordisce un tutorial tuttofare. Nella “ripartenza” che ci aspetta nessuno può considerarsi un “autista provetto” e le insidie della salita -questa volta- ci sono tutte, dal motore che si spegne se si lascia la frizione troppo bruscamente al pericolo di retrocedere se si lascia troppo lentamente.
Oltre alle difficoltà economiche di cui ci parla ogni telegiornale, in una girandola di miliardi a debito che -lo speriamo tutti- riescano a far ripartire la produttività e il lavoro così da poter riuscire prima o poi a ripagarli, mi preoccupano altri due tipi di difficoltà: una sociologica e una metodologica.
Quella sociologica riguarda la capacità di avere fiducia, di riuscire a credere nell’impresa; quella capacità che spinse la generazione uscita dalla seconda guerra mondiale a provarci, a mettercela tutta e produsse quello che ancora oggi chiamiamo “il miracolo italiano”. Quella fiducia e quell’entusiasmo venivano in gran parte dal non aver molto da perdere e dalla voglia di accettare la sfida, di dimostrare a se stessi e al mondo di cosa si era capaci. Oggi non siamo nella stessa situazione: due mesi di pandemia non sono cinque anni di guerra, non abbiamo perso tutto e siamo meno “soli” di quanto fossero i nostri padri e nonni alla fine degli anni quaranta (non c’erano gli aiuti europei, i mercati erano molto più locali e la bassa specializzazione offriva meno vie d’uscita). Eppure questi “vantaggi” -paradossalmente- sembrano giocarci contro: non abbiamo perso tutto, ma la paura di continuare a perdere invece di sollecitarci spesso ci paralizza; abbiamo più risorse e prospettive, ma siamo più “viziati”, più lamentosi, più critici, troppo allenati a vedere ciò che ci manca per fare leva su quello che abbiamo. Ce la faremo a fare quello “scatto” interiore indispensabile per affrontare la salita con l’energia che richiede?
La difficoltà metodologica riguarda il “mito” del binomio norma/controllo. Nessuno -tranne qualche anarchico da circo- mette in dubbio che abbiamo bisogno di regole perché la società funzioni, che gli abusi vengano evitati, la corruzione prevenuta, il rispetto delle norme controllato e i trasgressori sanzionati. Detto questo, però, c’è una misura oltre la quale la razionalità sconfina nel mito. Siamo davvero convinti che tutto possa e debba essere normato? E che -se non funziona- bisogna aggiungere altre norme, sempre più dettagliate, e così via? E che -poiché è inutile imporre norme senza controllare che vengano rispettate- tutto possa e debba essere controllato? Siamo davvero sicuri che il buon funzionamento della società si esaurisca nel binomio norma/controllo? Anche a costo di avere tanti controllori quanti controllati?
Io non ne sono convinto. Penso che le norme siano necessarie ed utili (così come il controllo), ma -da sole- non siano affatto sufficienti a risolvere i problemi e non credo che la loro moltiplicazione migliori la loro efficacia. Anzi, aumentando il numero, il dettaglio e la complessità delle regole, aumenta inevitabilmente la probabilità che esse si contraddicano, si sovrappongano, prevedano innumerevoli eccezioni, diventa sempre più difficile comunicarle e renderne comprensibile l’intento. Finisce che, non riuscendo ad essere compreso, il groviglio burocratico delle norme, dei controlli e delle sanzioni finisca per essere percepito solo come un ostacolo e non come un aiuto. L’efficacia delle norme è direttamente proporzionale alla loro semplicità e chiarezza. Quello che fa funzionare una società è il senso di responsabilità dei suoi componenti: le norme e i controlli possono e devono stimolarlo e indirizzarlo, ma è un’illusione che regole millimetrate e controlli integrali (come -dicono- stia già avvenendo nelle grandi città cinesi con telecamere che arrivano a controllare, premiare e punire ogni singolo cittadino in ogni suo comportamento) creino una società migliore e più vivibile.
Regolamenti e telecamere non ci risolveranno -da soli- i problemi. La realtà è sempre più complessa dei regolamenti: dobbiamo trovare in noi stessi la forza e la fiducia per ripartire e la responsabilità per ripartire insieme. E vero sempre, figuriamoci quando la ripartenza è in salita.