Ci siamo lasciati una settimana fa che ero in un letto dell’ospedale Spallanzani con uno strano casco in testa che mi consentiva di respirare. Ora la situazione è molto diversa, sono sempre in questo letto, ma è cambiata la cosa più importante: la prospettiva.
Ci sono “dettagli” (il casco solo alcune ore al giorno, primi esercizi respiratori, maggiore reattività, valori migliorati) che vivo come preziose conquiste e che fanno l’enorme differenza che c’è fra partire e tornare.
Sembra che la barca abbia finalmente trovato la rotta giusta. Ora bisogna stare attenti al vento: navigando con prudenza porta alla meta ma se non si fa attenzione rovescia la barca. Sono fiducioso, ho un ottimo skipper, un buon equipaggio e tanti amici che mi fanno sentire il loro affetto: mi sento autorizzato a sperare nel vento giusto e nella buona conduzione delle manovre di attracco!
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Il tempo per pensare non mi manca e vorrei condividere le mie riflessioni di questi ultimi giorni che ruotano intorno al verbo “ricostruire”. Ricostruire in tutti i sensi e a tutti i livelli: le relazioni sfilacciate, i progetti lasciati a metà, la scale delle priorità, i rapporti sociali.
Per ricostruire con efficacia occorre un progetto comune, visioni contrapposte non sanate portano inevitabilmente a disfare di notte quanto costruito di giorno: una tela di Penelope che non sarà mai portata a termine, né potrà essere utilizzata da nessuno.
Ma c’è un altro presupposto; perché il progetto comune possa svilupparsi è indispensabile che esso sia fondato sulla fiducia, un ingrediente che purtroppo non si compra e non si vende: si può solo coltivare insieme in un percorso fatto di rispetto da recuperare e di linguaggio condiviso da rinegoziare.
Mi rendo conto che non è una strategia facile, recuperare il rispetto reciproco e rinegoziare un linguaggio condiviso è faticosissimo e implica rinunce da entrambe le parti, ma l’alternativa è il fallimento del progetto.
Rinegoziare il linguaggio significa avere il coraggio di “scartare” le parole senza dare per scontato il loro contenuto e “concordare” con l’interlocutore il reale significato di quello che entrambi vorremmo ottenere. Tanto più le parole sono importanti (giustizia, libertà, equità, solidarietà, autonomia …), tanto più il rischio dell’ambiguità è in agguato. Meglio partire dalle basi, il linguaggio condiviso e il rispetto reciproco, se vogliamo davvero che la fiducia cresca e i progetti comuni si realizzino; eviteremo di restare delusi e di sprecare tempo.
E se dalle delusioni si può guarire, il tempo è davvero una risorsa non rinnovabile. L’esperienza di questi giorni mi ha ricordato quanto sia prezioso: sprecarlo sarebbe imperdonabile.