I simboli -si sa- sono luoghi, oggetti o persone che assumono significati che vanno oltre la loro natura materiale per “significare” altro: valori, idee e convinzioni condivise da una comunità. I simboli acquistano, per la comunità che li condivide, un valore “sacro”, sia in senso propriamente religioso e trascendente, sia -per estensione- in senso laico per quelli condivisi in comunità sociali più ampie: luoghi, oggetti e persone che rendono visibili, “materializzano”, i valori e le regole su cui si fonda la vita della società.
Ecco perché l’attacco al parlamento di Washington durante la seduta di proclamazione del nuovo presidente ha creato un disagio che è andato ben oltre le opinioni politiche; come ogni profanazione non si è limitato a violare le regole, ma ha inteso negare la loro legittimità e -con essa- i valori su cui si fonda il patto sociale. In questo caso -inoltre- la profanazione ha presentato un’aggravante notevole: la massima autorità che avrebbe dovuto reagire per neutralizzarla coincideva con chi l’aveva in qualche modo legittimata e provocata. Per qualche ora il corto circuito è sembrato senza soluzione e il recupero del controllo ha dovuto attendere le poco spontanee e ambigue dichiarazioni del presidente per poter essere attuato. Un episodio grave che ha rivelato quanto si stiano indebolendo le regole condivise del gioco democratico e come la questione non riguardi solo gli Stati Uniti.
I simboli sono necessari ma ovviamente da soli non bastano, occorre che ad essi corrispondano regole e contenuti condivisi, ma senza simboli l’impianto sociale diventa più precario e aumenta il rischio che riemerga la legge del più forte. E’ importante ribadire dove passa il confine tra le opinioni politiche legittime e le regole istituzionali, che sono indipendenti dalle diverse opinioni e non possono essere violate.
La velocità, la capillarità e la moltiplicabilità dell’informazione digitale rendono possibile che notizie false circolino liberamente senza che sia possibile dimostrarne l’infondatezza e finiscano -nella percezione di chi le ha fatte sue- per valere tanto quanto quelle vere. L’effetto micidiale di questa comunicazione alterata è che le persone consolidano le loro convinzioni senza più sentire il bisogno di verificarne la fondatezza, inquadrando qualunque tentativo di confutazione come un complotto della parte avversa. E’ così che una gran parte dei 74 milioni di americani che hanno votato per Trump resterà -malgrado tutte le verifiche e i pronunciamenti dei tribunali- con la granitica convinzione che l’elezione di Biden sia una truffa; che molti siano convinti che il Covid sia solo una normale influenza venduta come pandemia per fare arricchire Amazon e la lobby dei vaccini; che il Recovery fund sia solo un trucco dei paesi europei più forti per far indebitare quelli più deboli.
Il rischio più grande che corriamo è che le persone finiscano -nell’impossibilità (o nella complessità) di discernere cosa sia vero- per non credere più a nulla e a nessuno, o peggio, per credere alla verità meglio confezionata o arrivata prima sul loro social preferito. E’ importante non cedere a questo dissolvimento di ogni certezza e opportuno darci un codice di discernimento da seguire, resistendo alla tentazione di avallare solo le informazioni in sintonia con le nostre simpatie (che è poi quello che rimproveriamo a chi la pensa diversamente da noi).
A volte mi prende un po’ la nostalgia di quando le informazioni erano poche e le verità (sembravano) univoche… ma è solo una debolezza senile; era certamente meno faticoso, ma era più noioso, oggi ci tocca confrontare e verificare le informazioni per scegliere quelle che riteniamo più attendibili… è come dover sempre guidare nel traffico: non ci possiamo mai distrarre ma almeno non rischiamo i colpi di sonno.