Sappiamo bene quanti disagi sta provocando la pandemia. C’è chi piange parenti ed amici che non ci sono più, chi ha perso il suo lavoro e non sa se potrà riaverlo, chi sperava di trovarlo ed ora non sa più neppure dove cercarlo. C’è chi si chiude in casa paralizzato dalla paura e chi non se lo può permettere, chi deve preoccuparsi per i suoi figli e chi per i suoi vecchi, chi solo di se stesso ma gli sembra di non farcela.
Tutto questo lo sappiamo bene e nessuno si sogna di minimizzare la oggettiva gravità della situazione, tuttavia mi vado convincendo che nel modo in cui nei giornali, in televisione e sui social, tutte queste difficoltà vengono continuamente raccontate, ossessivamente denunciate e doviziosamente testimoniate si stia annidando un altro pericoloso virus occulto: la sottintesa convinzione che quanto più i disagi si raccontano e se ne denuncia la gravità tanto più chi ne è “responsabile” dovrà trovare una soluzione; lasciando implicitamente intendere che, se il disagio continua, vuol dire che chi ne è “responsabile” non sta facendo nulla o non sta lavorando nel modo giusto e deve quindi rispondere della sua negligenza.
Ovviamente è possibile che questo corrisponda al vero e che i responsabili non stiano facendo tutto il possibile o non stiano lavorando nel modo giusto, ma non è la gravità dei problemi o la loro persistenza ad esserne la prova: potrebbe anche essere che la situazione si aggravi “malgrado” il lavoro fatto, potrebbe anche essere che la situazione non migliori ma che –senza le misure adottate– sarebbe drammaticamente precipitata… difficile calcolare queste variabili e difficile mantenere nitido il confine tra “responsabile” e “colpevole”. Si è responsabili di una situazione per il ruolo che si ricopre, si è colpevoli quando questa responsabilità viene tradita per incompetenza, errori o -peggio ancora- per interesse; ma, anche su questo piano, non è la gravità dei problemi o la loro persistenza ad essere la prova della colpa.
Non è difficile soffiare sul fuoco della rabbia e far percepire ogni disagio come un sopruso, trasformando costantemente ogni responsabilità in colpevolezza: altro è esigere che si faccia tutto il possibile per risolverlo, altro è pretendere che la soluzione sia immediatamente perseguibile ed efficace.
La settimana scorsa il presidente Macron, in seguito alle polemiche sulla presunta disorganizzazione nel piano di vaccinazioni, ha commentato: “C’è questa specie di caccia incessante all’errore. Siamo diventati una nazione di 66 milioni di procuratori. Ma non è così che si affrontano le crisi e che si avanza. Tutti sbagliamo, tutti i giorni. Non sbagliano mai solo quelli che non fanno niente o che ripetono, meccanicamente, le stesse cose“. E’ una questione di metodo più che di merito: se il virus del sospetto distrugge la relazione e la fiducia a prescindere dai fatti, ci lasciamo travolgere dalla retorica della rabbia e ci facciamo del male da soli. Se la fiducia non dipende più dall’analisi dei fatti, allora non c’è responsabilità che tenga: nulla ci andrà mai bene e finiremo per isolarci in una solitudine astiosa in attesa di qualche taumaturgo di passaggio.
In una recente intervista il prof. De Rita, riferendosi allo stato d’animo prodotto dalla pandemia, ci ha messo in guardia: “Il vero pericolo è che cadiamo tutti in letargo, e se il letargo si protrae troppo a lungo la passività finisce per prevalere. Non ci si risveglia più come prima, non si ricarica la vitalità e la voglia di recuperare la relazione. Recuperare le relazioni è il primo impegno che bisogna prendersi, per recuperare la speranza comune, la voglia di lavorare insieme e di non isolarsi. Di non cadere in letargo.”. Il virus occulto del sospetto permanente è un efficace sonnifero.