Enrico Letta ha proposto di destinare a 280mila diciottenni (di famiglie a reddito medio-basso) un assegno di 10mila euro spendibili per formazione, lavoro o alloggio; finanziando l’operazione con l’aumento della tassa di successione sui patrimoni che superano i cinque milioni di euro, toccando dunque le tasche solo dell’uno per cento degli italiani, i più ricchi. La proposta -come è noto- è stata immediatamente e vigorosamente impallinata: inopportuna, intempestiva, ingiusta, inutile, demagogica, populista, strumentale, inefficace, ridicola ed altri giudizi meno eleganti, provenienti non solo dall’opposizione, ma anche da palazzo Chigi, da partiti di governo e da esponenti dello stesso partito di Letta.
Non intendo affatto fare qui il difensore della proposta o del suo autore, ma la velocità e la veemenza con cui è stata affossata e con cui il proponente è stato aggredito mi suscitano qualche riflessione.
Condivido anch’io alcune delle critiche degli impallinatori, il momento non era probabilmente il più propizio e proposte di questo calibro andrebbero messe a punto e soprattutto condivise -almeno all’interno del proprio partito- con maggiore cura. Inoltre so benissimo che 10mila euro non sono la soluzione di tutti i problemi dei giovani e che -come molti si affannano a ripetere in questi giorni- “sarebbe molto meglio creare lavoro in modo che i giovani possano guadagnare autonomamente e fare le loro scelte da soli…”, un po’ come dire che sarebbe molto meglio che non piovesse invece di cercare un ombrello.
Nessuno ha le soluzioni in tasca, ma alcuni punti mi sono chiari: il problema di aiutare concretamente i giovani a provare a staccarsi da casa (investendo sulla propria formazione o dando corpo a una loro idea di lavoro o pagandosi un affitto) esiste ed è urgente; gli interventi che incidono concretamente sui problemi costano e la copertura non può ricadere sulla fiscalità generale, soprattutto quando l’indebitamento è al limite. Mi è chiaro anche -spero di non essere per questo giudicato un pericoloso bolscevìco!- che caricare il costo su chi può sostenerlo, senza che questo gli produca gravi difficoltà, è preferibile che pesare su chi le gravi difficoltà le ha già.
Certamente la proposta di Letta può essere rivisitata e migliorata, ma non vorrei che finisse nel grande armadio delle vittime del benaltrismo. “Tutti a casa con mamma e papà” non può essere l’unico orizzonte possibile, bisogna trovare nuovi spazi e nuovi stimoli che spingano i giovani a “provarci”, a correre dei rischi, a vivere la loro vita. Aiutarli e star loro vicino va bene, ma se per tutelarli si impedisce loro di correre rischi in prima persona, il sostegno può diventare un furto -per quanto amorevole- del diritto/dovere di ognuno a vivere la sua vita.
Non riesco a rassegnarmi al fatto che non siamo un paese per giovani.