Esatto. Parlo proprio del bicchiere, quello che l’ottimista vedeva mezzo pieno e il pessimista mezzo vuoto, o almeno così era fino a qualche tempo fa. Adesso non serve a misurare ottimismo e pessimismo, è diventata una gara a chi il bicchiere ce l’ha più grande… così da essere sicuri di averlo sempre mezzo vuoto e garantirsi il diritto di lamentarsi perennemente, approfittando del fatto che non è data la misura del bicchiere, né è vietato utilizzarne uno più grande se –non sia mai!– il livello minacciasse superare la metà.
E’ ovvio che ci sarà sempre qualcosa che non va, che si poteva fare meglio, che manca, che sarebbe giusto cambiare, che è diversa da come vorremmo… ma la questione non è quanto le cose siano o non siano soddisfacenti rispetto ai nostri desideri; la questione è come noi ci poniamo di fronte a quello che ci succede. Quando l’insoddisfazione diventa cronica non funziona più come incentivo a migliorare: al contrario scoraggia la ricerca di una soluzione e inibisce la speranza.
Sembra che essere insoddisfatti non sia più vissuto come una possibilità ma piuttosto come un bisogno. L’insoddisfazione cronica è diffusissima perché ci fa sentire in credito, ci permette di leggere le nostre difficoltà come diritti negati orientandoci costantemente alla ricerca dei colpevoli, veri o presunti: ecco perché il bicchiere ci sembra sempre mezzo vuoto, perché lo vogliamo così.
Su cosa è fondata la nostra convinzione di avere “diritto” a soluzioni pienamente soddisfacenti ai nostri problemi e dunque ad essere insoddisfatti se non accade? Temo che spesso confondiamo la speranza che qualcosa si realizzi con il diritto che questo avvenga. Un esempio? Scoppia una pandemia, siamo preoccupatissimi perché non riusciamo ad arginarla, “speriamo” fortemente che i ricercatori riescano a trovare un vaccino efficace, lo trovano, (attenzione: il livello nel bicchiere rischia di salire verso la metà, meglio utilizzare un bicchiere più grande!) …ma non è immunizzante al 100%. Una parziale delusione? No, una truffa, un “diritto” negato! Chi è il colpevole? Chi sono i complici? Non lo sappiamo, ma intanto abbiamo recuperato l’amato diritto all’insoddisfazione. Siamo in una situazione oggettivamente migliore di quando il vaccino non c’era, ma il bicchiere ci sembra irrimediabilmente più vuoto.
Lo scontento è scontato. Come bambini incontentabili ci neghiamo la possibilità di apprezzare ciò che abbiamo per pretendere il diritto alla perfezione; come se non fossimo tutti in viaggio, come se non procedessimo tutti per tentativi e per approssimazioni successive, come se tutto ci fosse dovuto.
Staremmo meglio se smettessimo di misurare ossessivamente il livello del bicchiere e di inseguire il mito della pienezza: se proprio non riusciamo ad evitare di guardare il bicchiere altrui, guardiamo quello di chi ce l’ha vuoto.