Il 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato venerdì scorso, esplora da diverse angolazioni la deriva “irrazionale” che sta manifestandosi in modo sempre più evidente: “L’irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde, seguendo una parabola che va dal rancore al sovranismo psichico, e che ora evolve diventando il gran rifiuto del discorso razionale, cioè degli strumenti con cui in passato abbiamo costruito il progresso e il nostro benessere: la scienza, la medicina, i farmaci, le innovazioni tecnologiche.” 

Non è dunque solo questione di irrigidimenti e contrasti destinati ad essere superati una volta finita la pandemia, è l’emergere di microfratture inaspettatamente pericolose. Le divergenze di opinioni non impediscono di continuare a dialogare se il patrimonio di convinzioni condiviso è più profondo del tema di cui si sta discutendo, ma se la divergenza intacca i presupposti stessi della relazione non è più di opinioni che stiamo parlando.  Come possiamo dialogare serenamente con qualcuno che sappiamo capace di negare l’evidenza e di immaginare complotti inesistenti? Potremo ancora farlo in futuro? Potremo fidarci di chi non si fida di niente e di nessuno? 

Boccaccio diceva -dopo aver vissuto in prima persona la peste del 1348- che l’effetto più terribile della pandemia era stata la distruzione del vivere civile: il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori. Non siamo a questi livelli, ma certamente il “vivere civile” e la capacità di capirsi reciprocamente stanno subendo -temo- una erosione di fiducia che sarà arduo ricostruire.

Le microfratture tra le persone -dunque- fanno scricchiolare l’impianto sociale, indeboliscono il dialogo e rischiano di cronicizzarsi come quelle dispute familiari che continuano a dividere negli anni anche quando neppure ci si ricorda perché sono iniziate. La pandemia ci sta costringendo a vivere paradossalmente due dimensioni contrapposte: da un lato una interdipendenza “fisica” (io posso essere un pericolo per te e tu puoi esserlo per me) di cui avremmo fatto volentieri a meno e -nello stesso tempo- un isolamento forzato in circostanze in cui invece avremmo voluto maggiore vicinanza (ad es. le feste in famiglia, gli incontri tra amici,…) e adesso, dopo quasi due anni, non c’è da stupirsi che affiori la stanchezza e il disagio possa finire per generare o nutrire i microconflitti che ci amareggiano.

E’ importante che manteniamo integra la razionalità e alta la qualità delle relazioni  interpersonali, curandole con pazienza e limitando le microfratture, consapevoli che in gioco non c’è solo il presente da migliorare ma anche il futuro da preservare. Anche se non possiamo permetterci il lusso -come i dieci giovani del Decamerone di Boccaccio- di fuggire dalla città per attendere che la peste finisca in una villa di campagna raccontandoci novelle, possiamo certamente permetterci la lucidità necessaria per non perdere la bussola, riparare le microfratture e preparare un futuro che non abbia da scontare faide ideologiche.