Malgrado l’aumento consistente dei contagi da coronavirus –al quale per fortuna non corrisponde un proporzionale aumento dei ricoveri e della letalità- si sta facendo strada in molti un sentimento di rassegnazione e indifferenza. Il contagio, grazie alla disponibilità dei vaccini, non è più percepito come un pericolo negli stessi termini in cui lo era all’inizio della pandemia. Alcuni specialisti della comunicazione del rischio definiscono «apocalissi noiose» quegli eventi potenzialmente catastrofici che non vengono percepiti come tali; è come se stessimo vedendo lo stesso film horror da ventitre mesi e, scrive lo psicologo Adam Grant, «quando hai visto l’assassino saltare fuori brandendo un’arma dieci volte -anche se poi lo hai visto uccidere qualcuno- non ti spaventa più allo stesso modo».

Forse -più che di rassegnazione e indifferenza- il sentimento che sta prevalendo è di stanchezza. Siamo stanchi. Tutta l’informazione ruota intorno alla pandemia e ai suoi corollari e sembra aver dimenticato le altre dimensioni del nostro vivere. Il flusso ininterrotto di informazioni ci inonda e ci sembra sempre più spesso fuori misura: troppo generico o troppo tecnico. I giornalisti -dopo settecento giorni- hanno finito i verbi per descrivere l’andamento dei contagi che ormai non si limitano più ad aumentare o diminuire, ma “balzano”, “decollano”, “schizzano”… e non lo fanno mai senza avverbi adeguati, lo fanno “repentinamente”, “inaspettatamente” e -soprattutto- “esponenzialmente”. Siamo stanchi di dover -ad ogni TG- distinguere il tasso di contagiosità da quello di incidenza, paragonarlo con quelli dello scorso anno, ascoltare la prevedibilissima omelia dell’esperto di giornata o seguire le evoluzioni dell’indice RT a Parigi, Berlino e New York (e a Kinshasa, Quito e Giacarta?). Siamo stanchi della ossessiva pervasività del tema.

Quando, nella primavera del 2020, esplose la pandemia uccidendo migliaia di persone in tutto il mondo, associavamo il pericolo a due variabili che aggravavano la nostra paura: la gravità degli esiti e l’assenza di efficaci difese (i vaccini arrivarono solo dopo dieci mesi). Oggi la situazione è cambiata o almeno ci siamo convinti che lo sia. Sempre più persone sono oggi stanche di aver paura, o anche semplicemente stanche.

Si dice che “alla paura non si comanda” e alla stanchezza si comanda?

Non è una buona notizia che a vincere la paura sia la stanchezza, sono entrambi sentimenti che subiamo, che non scegliamo con la nostra volontà. Quello che possiamo fare è riappropriarci -con maggiore consapevolezza- della nostra capacità di analisi e di scelta ristabilendo proporzioni corrette e limiti ragionevoli sia alla nostra paura che alla nostra stanchezza.

Abbiamo buone ragioni per metterle entrambe sotto controllo ed uscire gradualmente da questa lunga stagione dominata dai sentimenti che la pandemia ci ha dettato. E’ il momento di riorganizzare le nostre decisioni considerando la pandemia solo uno dei fattori di cui tenere conto senza per questo attendere ossessivamente con ansia ogni sera il dato sulla fluttuazione dell’RT e il numero dei nuovi contagiati (ci sono anche i nuovi guariti!).