Durante una conferenza alla quale ho partecipato la scorsa settimana uno dei relatori, persona ben informata sulla situazione in Ucraina che recentemente -in visita a Kiev- ha avuto colloqui con il ministro degli esteri Kuleba, ha espresso -non senza una certa reticenza- un suo timore: “Ho paura che il prossimo inverno non lo dimenticheremo facilmente.”. Confesso che non sono tornato a casa tranquillo, immaginandomi già i termosifoni desolatamente freddi e i nipotini uscire da scuola con le mani intirizzite…. Fantasie senili a parte, è chiaro che a sostenere una linea politica (qualsiasi linea politica!) si corrono dei rischi e la loro misura è difficilmente ipotizzabile date le numerose variabili in gioco. Si devono fare i conti con la coerenza valoriale, con le relazioni internazionali, con le conseguenze economiche, con il consenso parlamentare e con la “pancia” dei telespettatori dei talk-show: far quadrare tutto non è facile ed è inevitabile che da qualche parte la coperta si strappi.

Stando a molti talk-show si direbbe che una parte degli italiani vada gradualmente convincendosi che esistano serie responsabilità dell’occidente nell’aver provocato Putin fino a costringerlo a invadere l’Ucraina e che -per questo- stia mutando la propria opinione rispetto al sostegno della resistenza di quel paese. Ci troveremmo dunque davanti ad un paese titubante, dubbioso e lacerato, ma l’Italia come appare nei talk-show riflette davvero le convinzioni degli italiani? In realtà –nota Claudio Cerasa su Il Foglio– nel viaggio della scorsa settimana -significativamente insieme a Macron e a Scholz- Mario Draghi è arrivato a Kiev rappresentando un paese con una maggioranza parlamentare che ha scelto di sostenere in modo deciso la resistenza Ucraina e di emanciparsi in tempi brevi dalla dipendenza energetica russa senza porre veti, e un presidente della Repubblica che afferma in ogni occasione possibile che c’è differenza tra chi scommette sulla pace e chi scommette su un certo pacifismo di maniera. 

E’ una linea coerente, concertata a livello europeo, che a oltre cento giorni dall’inizio della guerra ribadisce che la pace passa dalla resistenza e non dalla resa. E’ una linea non esente da rischi, compreso quello che l’inverno prossimo sentiremo freddo e le scorte di gas non siano sufficienti a sostenere gli attuali livelli di produzione. Tutti speriamo che la situazione trovi uno sbocco negoziale, che la guerra finisca quanto prima –soprattutto per chi ne sta pagando quotidianamente il prezzo più alto-, che possa essere evitata la spirale dei ricatti reciproci e -con essa- i rischi che ne conseguono, ma -come ha scritto un amico- “proprio la dimensione dei rischi potrebbe aprire uno squarcio di coscienza del reale che, in contesti meno drammatici, ci sfuggiva. Nonostante tutto, questo si può almeno sperare (ma non chiedetemi perché). Anzi, si deve.”

Ecco, sono ottimista, punto tutto su questo “squarcio di coscienza del reale” per scongiurare l’annunciata glaciazione.