Le notizie false, incomplete e faziose non sono una invenzione recente, negli ultimi anni però la velocità e la facilità con cui possono essere diffuse, replicate o decontestualizzate ha aggravato enormemente il problema.
Le fake news possono essere fake perché sostanzialmente false (quando affermano cose oggettivamente non vere o dati oggettivamente inattendibili) o possono essere fake perché -pur affermando un contenuto oggettivamente vero- questo è presentato isolato dal contesto a cui si riferisce, senza il quale si altera il suo significato, la sua rilevanza e il giudizio che se ne può dare. A volte -al contrario- a rendere fake una notizia non è l’astrazione dal contesto, ma il suo inserimento in un contesto improprio, la forzatura di un paragone inappropriato, lo spostamento del focus su un particolare non rilevante o fuorviante.
Siamo spesso vittime inconsapevoli di queste manipolazioni che non solo rischiano di distorcere il nostro giudizio, ma -conseguenza ancora più grave- rischiano di minare in radice la credibilità di quanto ascoltiamo o leggiamo. Diventa arduo anche smentire le informazioni che percepiamo (o sappiamo) false, perché ogni smentita può a sua volta essere smentita in un gioco di specchi tendenzialmente infinito, rendendo in sostanza impossibile accertare l’oggettività dei fatti. In questo stato di sospensione del giudizio ognuno finisce per scegliersi la “sua” verità e la indossa come un vestito (o come un’armatura!) impermeabile a qualunque smentita e a qualunque dialogo.
Già 25 secoli fa il poeta greco Eschilo sosteneva che “In guerra la verità è la prima vittima”, oggi ne abbiamo conferma quotidiana. Non c’è affermazione, notizia, o commento che non ci arrivi simultaneamente in tre o quattro versioni tra loro incompatibili. Il dubbio sistematico è diventato la regola: ogni notizia è soggetta al dubbio (ma siamo sicuri le cose stanno come ci dicono? cosa vogliono farci credere? a chi è utile questa narrazione? chi è il burattinaio e chi il burattino?). Se non siamo più sicuri di niente gradualmente smettiamo di informarci per farci un’opinione, ma “adottiamo” un’opinione e poi accogliamo come credibili solo le notizie che la sostengono, rigettando pregiudizialmente quelle di segno opposto.
Il caso della guerra è il più evidente, ma corriamo lo stesso rischio anche negli altri ambiti informativi: le analisi politiche, le strategie economiche, il rapporto tra valori e norme, il giudizio sulle cause dei comportamenti sociali, le scelte educative, la postura verso chi ha prospettive e visioni diverse dalle nostre.
Che fare di fronte alla difficoltà di acquisire certezze indubitabili dalle informazioni che ricevo? Vedo quattro approcci possibili:
- sposo decisamente una tesi e mi ci arrocco dentro contro tutto contro tutti;
- rinuncio ad approfondire il merito e mi rifugio in una ipotetica equidistanza tra le tesi contrapposte;
- consapevole di non disporre di oggettività garantite, continuo a valutare faticosamente le informazioni disponibili, disposto -se la valutazione lo richiederà- a limare domani le certezze di oggi;
- decido di collezionare francobolli e guardo il Un posto al sole invece del TG.
Nessuno di questi approcci è risolutivo (anche se uno mi sembra più ragionevole degli altri), ma se lasciamo che le fake news e il dubbio sistematico rendano inservibili le parole e i giudizi… temo che Un posto al sole conoscerà un successo planetario.
(Non è inoltre da escludere che anche questa newsletter possa essere fake…).