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“Ognuno ha i suoi problemi…” è vero, lo sappiamo, ma -onestamente- sappiamo anche che non tutti i problemi hanno la stessa gravità ed urgenza. La guerra in Ucraina continua a toccarci emotivamente ed economicamente, ma non è la stessa cosa affrontare questo inverno vivendo a Kiev o a Roma, non è la stessa cosa sentire al telegiornale -tra una partita e l’altra dei mondiali- che ci sono stati bombardamenti e blackout o sentire le bombe esplodere sotto casa, temere che la prossima tocchi alla tua e avere elettricità solo un paio d’ore al giorno… no, decisamente non basta dire “ognuno ha i suoi problemi” per pareggiare i conti.

Quando in Iran, a metà settembre, iniziarono nelle strade di Teheran le manifestazioni di protesta per una ragazza di 22 anni che era morta dopo essere stata arrestata dalla “polizia morale” perché non indossava correttamente il velo, a molti sembrò che la posta in gioco fosse una (per noi incomprensibile) questione religiosa che -per quanto simbolica- riguardava prevalentemente giovani donne insofferenti all’obbligo di indossare l’hijab. Ora, dopo quasi tre mesi di repressione violentissima, oltre quattrocento persone uccise, ventotto condanne a morte, uno sciopero nazionale e l’impiccagione di un ragazzo di 23 anni, ci stiamo rendendo conto che non è solo questione di velo, né solo di giovani, né solo di donne. Siamo di fronte a una rivoluzione convinta e una repressione di sconvolgente drammaticità. 

I meno giovani ricordano forse ancora le folle oceaniche che alla fine del 1978 -su quelle stesse strade- osannavano Khomeyni e spingevano lo scià a partire: allora esigevano una maggiore libertà dopo un governo divenuto tirannico, oggi esigono la stessa cosa dopo che questo governo è divenuto a sua volta tirannico e se il primo costringeva le donne a togliersi il velo mentre questo le costringe a portarlo evidentemente il problema -più che il sostantivo “velo”- è il verbo “costringere”. Non credo che il cuore del problema sia la religione (né allora, né oggi), usata strumentalmente (in entrambi i casi anche se di segno opposto) come schermo del potere, il cuore del problema è l’arroccamento cieco e sordo da parte di chi il potere lo detiene. Si potrebbe pensare che quanto sta accadendo in un grande paese di 85 milioni di persone (e un’età media di 27 anni!), la sistematica repressione del dissenso e una reazione incredibilmente coraggiosa che coinvolge centinaia di migliaia di persone disposte a rischiare quotidianamente la vita, faccia dell’Iran un caso mondiale, susciti una reazione diplomatica istituzionale, manifestazioni di sostegno ovunque… e invece ci si limita a indignati comunicati stampa, prese di posizione simboliche, disattente esecrazioni formali. Probabilmente ha ragione Michele Serra quando afferma che “il sostanziale silenzio occidentale, nei confronti di quel martirio, conferma l’antico sospetto che la libertà sia, per noi, solo una consuetudine scontata, una pigra abitudine. Così pigra che nemmeno ci accorgiamo di quanto preziosa possa essere per chi ne è privato a partire dal proprio corpo.” 

E’ vero dunque che ognuno ha i suoi problemi -l’Ucraina la guerra, l’Iran la repressione, noi le bollette rincarate- ma forse, come si fa per la temperatura, anche per i problemi occorre introdurre la differenza tra gravità reale e gravità percepita: in questo caso però la differenza tra l’una e l’altra non dipende dall’umidità e dalla ventilazione, ma da quanto vogliamo sapere e capire, da quanto ci sentiamo coinvolti dalla sofferenza altrui, da quanto coltiviamo il senso delle proporzioni. Non è proibito considerarci i più sfortunati del mondo, dipende da quanto è grande il nostro mondo.